Le aziende di trasporto confiscate alla mafia? Muoiono perché costano troppo

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Il 10 gennaio sono state avviate le procedure per la liquidazione del gruppo Riela. E’ un’altra azienda sequestrata alla criminalità  organizzata che muore. Come accade per 9 aziende su 10 tra quelle che vengono sottratte al potere mafioso – lo ha ricordato di recente Domenico Posca, presidente degli Amministratori giudiziari. Un dato che di per sé è una denuncia. La Riela verrà  liquidata perché «non riesce a stare sul mercato», dice la determinazione del 19 luglio dell’Agenzia per i beni confiscati. Dietro questa formula, per nulla asettica, si nasconde la storia di un gruppo di trasporto che nel 1999 era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia. Un’azienda che ha fatturato anche trenta milioni di euro e dato lavoro a 250 dipendenti. La sua chiusura, dunque, rappresenta un duro colpo per la provincia di Catania, ma anche un messaggio pericoloso: le aziende che vengono tolte alla mafia non ce la fanno. Quando arriva lo Stato si salvi chi può.
Oggi le condizioni del gruppo Riela sono molto diverse rispetto al suo “glorioso” passato che, però, è stato glorioso anche sotto controllo pubblico. E’ che, a un certo punto – per ragioni ancora da capire, visto che nessuno è mai finito sotto inchiesta – gli amministratori (se ne sono succeduti tre dall’anno del sequestro, nel lontano ’95) non si accorgono che la famiglia Riela sta cercando di riprendersi l’azienda. Come? Semplicissimo: fondando un nuovo consorzio, Se.Tra, che pian piano comincia a svuotare il gruppo accaparrandosi tutti i clienti e diventando addirittura il principale creditore della Riela. Se ne accorgono i magistrati, e mettono Se.Tra sotto sequestro, ipotizzando che lo scopo del consorzio fosse presentarsi come naturale acquirente una volta giunti all’alienazione del bene confiscato. Il consorzio vince il riesame, ma perde in Cassazione. Da allora, però, non si è più proceduto con l’ulteriore sequestro. Intanto praticamente tutti gli ex dipendenti – che hanno capito subito quale fosse il cavallo “vincente” – lavorano in un’azienda del consorzio Se.tra. Che, tra l’altro, usa un logo che evoca il gruppo Riela. Hanno tanti clienti e vanno alla grande. Non solo: Se.tra ha chiesto indietro al gruppo Riela 6 milioni di euro. Un decreto ingiuntivo che se arrivasse a buon fine la porterebbe al fallimento. E’ uno dei motivi che ha spinto l’Agenzia nazionale a liquidare. 
Questo l’intricato intreccio della storia del gruppo, considerato un vero e proprio “caso di scuola” dagli addetti ai lavori. E dunque ci sta anche la liquidazione, inesorabile destino per le aziende confiscate. Senonché da qualche anno ci sono persone che stanno cercando di rimettere in pedi l’azienda. E ci credono. Tra loro c’è il direttore tecnico. Si chiama Mario Di Marco: è un dipendente finito in mobilità  dopo aver lavorato per anni alla Ce.sa.Me. (700 dipendenti, fallita nel 2004). Poteva aspettare la pensione e invece ha accettato l’incarico. Tratta Riela come fosse una sua creatura. Non vuole farla morire perché vede un futuro. Sono in corso trattative importanti per nuove commesse. Niente che possa competere con il passato da leone della Riela, ma probabilmente abbastanza per mantenere 22 dipendenti. E soprattutto per non spegnere una fiammella di legalità  in un territorio ammorbato dalla disoccupazione e in un settore – quello del trasporto – considerato tra i più infiltrati dagli interessi mafiosi. Le modalità  degli scioperi di questi giorni, d’altronde, hanno mostrato gente in azione con cui non conviene scherzare. 
La nuova Riela non frequenta questi circuiti. Lavora molto con i gruppi di acquisto solidale che sono stati i primi a dargli fiducia. Accettando di pagare un prezzo più alto per il trasporto rispetto alle tariffe stracciate di quel “mercato” su cui Riela non riesce a stare. E’ quello che Di Marco chiama «il prezzo della legalità ». Le tariffe Riela possono essere anche del 30% più care. E il motivo sta nel fatto che Riela, essendo amministrata dallo Stato, è “costretta” a rispettare le regole. Contratti a posto, tasse pagate, revisioni perfette, bolli in ordine, orario di lavoro rispettato. Si può “stare sul mercato”? «Ma in questi anni siamo riusciti a stabilire nuovi contatti, imprenditori che apprezzano la nostra affidabilità . Forse anche la nostra storia», racconta Di Marco. E’ lo stato che sembra latitare. Assistenzialismo? No, Di Marco chiede lavoro. «Perché mai i tabacchi italiani devono essere trasportati da una ditta spagnola?», si domanda. E’ impossibile immaginare che le aziende con partecipazioni pubbliche – ce ne sono a decine, da Finmeccanica, al Poligrafico – prevedano una collaborazione con le aziende confiscate? 
«Soluzioni di questo tipo sono state prese in considerazione – risponde il vice prefetto Maria Rosaria Laganà  dell’Agenzia per i beni confiscati – ma bisogna anche tenere in considerazione le regole della concorrenza: non ci possono essere aziende facilitate rispetto ad altre». Già , il mercato. «Sulla Riela è stato fatto di tutto, compreso un tavolo per ricollocare i dipendenti», precisa. Certo, ma nessun futuro per un’azienda che è stata un “nome”, in Sicilia? «Se ci fossero novità  – spiega Laganà  – andrebbero certamente prese in considerazione. Ma dovrebbero essere commesse consistenti, in grado di durare nel tempo». 
Insomma, uno spiraglio c’è. Solo se le commesse aumentassero. Ma in quanti sono disposti a sostenere il «costo della legalità »?


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