L’antimafia a Reggio Calabria Scopelliti trema
E a patirlo è Reggio Calabria per la quale il Viminale ha disposto accesso agli atti alla commissione che dovrà indagare nei meandri del comune, per accertare se le cosche hanno gravitato nell’orbita di Palazzo San Giorgio. Gli ispettori spulceranno le carte, verificheranno gli atti, scartabelleranno le pratiche. Ma il giudizio (per ora solo politico) è univoco: Reggio è marcia. Un vero e proprio “sacco”, una gestione decennale della città a dir poco sconcertante: consiglieri «referenti delle cosche», società partecipate «guidate dai clan», un debito pubblico mostruoso. Una città scambiata per un megabancomat, in cui dilapidare danaro pubblico, assegnare consulenze a go go, liquidare parcelle d’oro, elargire prebende come fossero funghi. Insomma, un regno dove tutto era dovuto. Per creare consenso, gonfiare le clientele. E il re oggi è nudo.
Peppe Scopelliti, attuale presidente della Regione e sindaco di Reggio dal 2001 al 2010, trema. Com’è stato possibile che il clan Tegano abbia messo le mani, tramite dei prestanome, sulla Multiservizi, ossia sulla società mista che si occupa della manutenzione ordinaria della città , senza che il capo ne sapesse nulla? E non è tutto. Nelle carte inviate dal prefetto di Reggio a Roma ci sarebbe anche tutta una serie di riferimenti ad una seconda controllata. Diversi pentiti, infatti, ormai da oltre un anno tirano in ballo la Leonia, l’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti, definita «l’ufficio di collocamento delle cosche». A queste informazioni vanno aggiunte delle altre. Quelle che hanno trovato esito in carte processuali: il consigliere Manlio Flesca, rinviato a giudizio per l’inchiesta Meta, l’altro consigliere comunale (oggi alla Provincia) Michele Marcianò, pizzicato dalle cimici dei Ros a discutere (di incarichi e tessere) con il boss Cosimo Alvaro. E, ancora, il processo a carico di Massimo Labate, luogotenente di Scopelliti dai tempi del Msi, assolto in primo e secondo grado per presunti rapporti con i Caridi, ed ora inquisito per una storia di finanziamenti riconducibili alle cosche. C’è poi la vicenda dell’attuale assessore ai Lavori Pubblici, Pasquale Morisani, intercettato mentre chiedeva voti ai boss di Eremo. E, infine, a ridosso del 2012 l’arresto di Peppe Plutino, il consigliere comunale (da tre consiliature) accusato dalla Dda reggina di concorso esterno in associazione mafiosa, nella qualità di «referente delle ‘ndrine di San Giorgio Extra».
Insomma, una città che naufraga, ripiega e affonda su se stessa, strangolata da un debito di 170 milioni (per l’opposizione sarebbero il doppio). Ma la maggioranza fa finta di niente. A Palazzo San Giorgio ogni volta che va in scena una seduta del Consiglio si consuma qualcosa a metà tra lo psicodramma e il cabaret. Qualche giorno fa in Aula si è presentata solo la minoranza con la destra lancinata dal fuoco amico e divisa tra chi si schiera senza se e senza ma con Demi Arena (l’attuale sindaco) e coloro che, dietro il sostegno di facciata, seminano trappole.
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