L’Iran sfida le sanzioni di Obama testato un missile “invisibile”

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Provocazione dopo provocazione, il conflitto tra Iran e Occidente si aggrava ogni giorno e già  c’è chi specula dalla data di un futuro conflitto: tra nove mesi, scrive un commentatore su Haaretz, poco prima delle elezioni americane, quando l’Iran raggiungerà  quella che il ministro della Difesa israeliano Barak ha definito la “zona d’immunità “, oltre la quale l’acquisizione della bomba atomica non potrà  essere più fermata. Il Segretario alla Difesa Usa Panetta ha ammesso: «Se dobbiamo farlo lo faremo». Per ora si misurano le forze nel Golfo persico. Teheran ieri ha testato un nuovo missile terra-aria capace di colpire gli aerei rendendosi invisibile alle loro apparecchiature elettroniche e ha ostentato la prima barra “fatta in casa” di uranio arricchito al 20 per cento (con cui alimenterà  il piccolo reattore sperimentale di Teheran). Tutto questo poche ore dopo che Obama dalla sua vacanza alle Hawai firmava le nuove sanzioni che colpiscono la Banca centrale iraniana, e che veniva annunciata una nuova vendita di armi americane nel Golfo (dopo gli 84 jet da combattimento venduti all’Arabia Saudita, gli Emirati hanno comprato dagli Usa un sistema antimissile per 3,5 miliardi di dollari). La Banca centrale iraniana era rimasta l’unico strumento del regime per aggirare le sanzioni finanziarie e ricevere i pagamenti delle esportazioni di petrolio e l’Iran aveva minacciato di bloccare lo stretto di Hormuz nel caso di nuove sanzioni. «Alle minacce risponderemo con le minacce», aveva detto il leader Khamenei, e il vicepresidente Rahimi aveva avvertito che «nemmeno una goccia di petrolio» sarebbe più passata dal Golfo Persico, mandando alle stelle il prezzo del petrolio e provocando così il collasso dell’economia mondiale già  provata dalla crisi finanziaria. In effetti il prezzo del petrolio è subito salito, e secondo molti esperti è questo, per il momento, l’obiettivo delle provocazioni iraniane: far salire il prezzo del petrolio per fare cassa e bilanciare le conseguenze delle sanzioni. Dopo la firma di Obama sulle nuove sanzioni (che colpiscono anche le banche non americane che abbiano relazioni con la Banca centrale iraniana) ieri anche il presidente Ahmadinejad ha fatto sentire la sua voce. «Teheran non si piegherà  alle pressioni dei nemici», ha scritto in una lettera alla Banca centrale pubblicata dal suo sito web. «Dobbiamo difendere la nazione ai complotti dei nemici», ha affermato, pur aggiungendo che l’economia iraniana è in buona salute e non ha «nessun problema». Ahmadinejad era stato insolitamente silenzioso da quando erano cominciate le manovre della Marina iraniana nello Stretto destinate a simulare, come aveva detto il comandante dei Pasdaran, «una situazione di guerra». Simulare o preparare, non era chiaro. Allo stesso tempo però da Teheran sono arrivati anche segnali concilianti. Il capo negoziatore del dossier nucleare Said Jalili e il ministro degli Esteri Salehi hanno detto che il governo iraniano è pronto a riprendere il negoziato sul nucleare, congelato da quasi un anno; e l’ammiraglio Mahmud Moussavi ha annunciato alla tv iraniana che il test missilistico sarebbe stato rinviato (è invece avvenuto con un solo giorno di ritardo). Da tutti i centri del potere iraniano – inclusi sempre più frequentemente anche i Pasdaran che sono ormai diventati, oltre che un esercito, un potentissimo conglomerato finanziario – arrivano segnali contraddittori. Gli iraniani, in patria e all’estero, lanciano messaggi a Obama perché torni a negoziare. Pensano che un attacco americano o israeliano potrebbe essere quello che serve al regime, come accadde con Saddam negli Anni ‘80. Qualsiasi azione militare potrebbe rinviare per anni un processo di cambiamento della Repubblica islamica dall’interno, mentre il regime è sempre più alle strette tra divisioni interne e la prospettiva di non poter riportare gli iraniani alle urne il prossimo marzo. I riformatori – non solo Moussavi e Karroubi dagli arresti domiciliari, ma anche il moderato Rafsanjani – hanno chiesto agli iraniani di boicottare il voto.


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