L’Iran colpisce l’Eni cancellati 2 miliardi Teheran: crediti inesistenti

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ROMA – Era prevedibile. La complicata partita a scacchi fra l’Iran e il resto del mondo inizia a “personalizzarsi”. Per difendersi da un embargo petrolifero deciso dagli Usa e in arrivo anche dall’Europa, ieri la dirigenza iraniana ha individuato un obiettivo singolo e ha lanciato un colpo contro l’Eni. Il produttore petrolifero italiano «non ha nessuna rivendicazione finanziaria specifica nei confronti dell’Iran», ha detto in una conferenza stampa Mohsen Qamsari, il capo delle attività  internazionali della Nioc, la compagnia iraniana del petrolio. 

Per l’ente italiano non è una doccia fredda, l’amministratore delegato Paolo Scaroni si spettava un colpo del genere. Il problema è che si tratta comunque di un colpo da 2 miliardi di dollari. L’Eni da anni aveva deciso di dismettere progressivamente il suo impegno in Iran per seguire le indicazioni politiche del governo italiano, unito a Stati Uniti ed Europa nel chiedere la sospensione del programma nucleare. Ma da Teheran Eni deve avere ancora 2 miliardi di dollari per lavori effettuati e diritti vari acquisiti fra il 2001 e il 2009; sono 2 miliardi che la Nioc aveva accettato di scalare progressivamente dal petrolio che l’Eni continua ad estrarre e rivendere nelle installazioni in cui opera. 
«Noi confermiamo il credito di 2 miliardi, non è chiaro quale sia il valore delle dichiarazioni del dirigente che ha parlato ieri», dicono fonti dell’Eni, che già  altre volte (vedi il caso Libia) si sono viste di fronte ad atteggiamenti diversi fra “pezzi” dell’establishment politico e tecnico dei paesi in cui l’ente opera. Ma per l’Iran la speranza che il signor Qamsari abbia parlato senza autorizzazione, che abbia esagerato o possa essere rapidamente smentito sono davvero poche. 
Domani, lunedì, i ministri degli Esteri dell’Unione europea a Bruxelles torneranno a discutere di embargo petrolifero all’Iran, un embargo “passivo” che vieterebbe agli stati dell’Unione di acquistare petrolio dal gigante del Golfo Persico. Il problema è che se ci sono paesi come Francia, Germania, Gran Bretagna e Olanda pronti a votare l’embargo perché non importano quasi nulla dall’Iran, altri hanno problemi più seri. L’Iran vende circa 450 mila barili di petrolio al giorno ai paesi della Ue; ci sono i 180 mila barili per l’Italia (il 13% delle importazioni), i 160 mila per la Spagna e i 100 mila del Portogallo. Tutti paesi in grave crisi economica e finanziaria, tutti paesi che con difficoltà  riuscirebbero a sostituire i quantitativi di petrolio iraniano che per tipologia si adatta al tipo di raffinerie a cui è destinato. Per questo l’Italia e i suoi alleati sono riusciti a strappare un rinvio all’embargo, che quindi non verrà  annunciato domani. 
Una richiesta di rinvio da leggere nelle stesse parole del premier Mario Monti nell’intervista a le Figaro: l’Italia sarebbe pronta ad aderire, ma vuole salvaguardare le “consegne a rimborso”, ovvero proprio quelle che l’Eni chiede per i 2 miliardi di dollari. 
Ieri un peso medio del regime iraniano, Alauddin Borujerdi, capo della Commissione Esteri del parlamento, ha detto che l’Iran «è pronto a reagire in modo adeguato alle sanzioni della Ue contro il nostro petrolio: se i paesi europei decidessero l’embargo dovranno anche prepararsi ad affrontare le conseguenze delle loro scelte». L’Eni aveva previsto che fra le “conseguenze” potesse esserci proprio il blocco dei 2 miliardi.


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