L’ippica in crisi sciopera a oltranza ora a rischio 15mila cavalli da corsa
ROMA – Ora si uccidono, così, anche i cavalli da corsa. Si macellano, non ci sono più soldi per mantenerli. Sono 15mila gli animali a rischio, lo dice l’ultimo appello dell’ippica che alla fine unisce un mondo straordinariamente diviso: presidenti di giuria, starter, commissari di corse, driver, allevatori. La crisi economica, arrivata dopo una mezza dozzina di ministri dell’Agricoltura insipienti, regala l’ultima spinta all’ippica sull’orlo del baratro, un grande luogo dell’immaginario italiano. La crisi, e la cattiva politica, annunciano la fine peggiore dei suoi protagonisti: i cavalli. L’elenco dei fuoriclasse che il nostro vivaio ha prodotto e imposto nel mondo mette nostalgia: Ribot, Tornese, Molvedo, Delfo, Ramonti, Falbrav, Varenne. Ma, per la terza volta dal Dopoguerra, ieri i 42 ippodromi italiani non hanno aperto per le classiche corse di Capodanno. Sciopero, a oltranza: perché le famiglie di giro, i “cavallari” tutti, non ce la fanno più. Ma la conseguenza più dolorosa dell’irreparabile dissesto del settore è la fine di un’enorme scuderia di cavalli del trotto e del galoppo. «Lo Stato ne manda al macello 15mila», si legge nell’appello destinato al presidente della Repubblica, a Monti e a quattro ministri. Serve a catturare l’ultima attenzione, ma la forza icastica di quell’immagine senza ritorno identifica una realtà : un cavallo da corsa costa almeno 1.500 euro al mese e molti allevatori non hanno più quei soldi a disposizione. Devono disfarsi della bestia. Le alternative alla crisi strutturale dell’ippica oggi sono quattro. C’è chi regala il suo animale alle scuderie che possono far fronte con mezzi propri al disastro generale. Chi vende la bestia ad allevatori stranieri, infatti cresce la presenza di nostrani nelle corse in Francia e nell’Est Europa. Le ultime due possibilità sono le peggiori. C’è chi deve cedere l’animale alla malavita organizzata, soprattutto quella campana che ha tradizione nel ramo e denaro disponibile: lo utilizzerà per le corse clandestine. Infine, chi manda le bestie da corsa al macello. Maurizio Mattii, una famiglia cresciuta attorno all’ippodromo di Montegiorgio, provincia di Ascoli, racconta: «In queste terre molti allevatori alzano le mani e consegnano i cavalli. Il giorno che arriva il camion per portare via la bestia, 600 euro garantiti, è un giorno di lutto, la famiglia non lo dimenticherà più». La spiegazione di Marco Montana, per molte stagioni motore del laboratorio ippico Unirelab, fa crescere il livello dell’allarme. «Per legge i cavalli da corsa non possono essere macellati. Pochi anni fa gli allevatori ottennero un decreto che consentì di dare farmaci dopanti ai loro agonisti senza essere disturbati: un cavallo da ippodromo, oggi, non può tornare carne da macelleria». Cosa accade, quindi? «La crisi ha aperto le porte alla clandestinità : le macellazioni degli animali da corsa avvengono negli scannatoi abusivi». Il mercato alimentare è sottoposto a un nuovo stress: il rischio che venga introdotta carne insana nella filiera specializzata delle macellerie equine. La crisi, dicevamo. Quella ippica si è aggravata con il recente taglio, da parte dello Stato, di 100 milioni di euro. «Lo Stato sta facendo fallire l’ippica grazie alla gestione distruttiva dei Monopoli, che privilegiano i giochi d’azzardo allo sport». Negli ultimi 13 anni i Monopoli hanno costruito, spesso sulle stesse reti di scommesse dell’ippica, il Gioco pubblico che oggi muove 80 miliardi. I cavalli producono solo l’1,5 per cento di questo giro d’affari. L’ultimo colpo è arrivato con l’autorizzazione alle corse virtuali, che sposterà nuovi clienti dagli ippodromi alle sale giochi. 700 agenzie ippiche sono vicine alla chiusura, ricorda l’Assosnai. Lo sciopero è proclamato. Ieri niente corse, ma per almeno venti strutture già si parla di chiusura definitiva. L’Arcoveggio di Bologna aveva già annunciato (il 31 dicembre) la sua ultima corsa. Ora seguiranno Albenga, Grosseto, Ravenna, Aversa. Le contestazioni sono pesanti: i tagli lineari dell’Unire-Assi, ma anche i 30 avvocati siciliani nominati nel collegio di disciplina dal penultimo ministro, Saverio Romano, sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa. I rimborsi spese per le riunioni romane dei legali sono solo l’ultimo spreco di un’ippica senza ossigeno.
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