L’addio a don Verzé «Conscio dei suoi eccessi»

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MILANO — Negli ultimi anni, sarà  perché era anziano e si muoveva a piccoli passi, nelle occasioni di ritrovo erano in molti a ripetere quel gesto affettuoso: lo prendevano sotto braccio con un sorriso, e in quella posa finivano nelle inquadrature dei fotografi. Lo faceva spesso Silvio Berlusconi; lo fece l’allora sindaco Letizia Moratti, quando il sacerdote festeggiò i 90 anni. Quello stesso giorno il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, inviò all’amico 90 rose rosse a stelo lungo; in ospedale s’erano radunati mezzo governo e mezza giunta del Comune di Milano. Ieri mattina, cielo basso e pioggia sottile, la politica — con qualche eccezione, come il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà  â€” non ha tributato un pubblico, ultimo saluto a don Luigi Verzé. «Un solitario, come tutti i geni — lo ha definito il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, nell’omelia durante il funerale — ma anche un uomo disposto a riconoscere di aver debordato».
Mattina, nove e mezza, ospedale San Raffaele, camera ardente. La bara con i paramenti sotto la «sua» cupola, che svetta sulla tangenziale Est di Milano, ai piedi dell’imponente scultura in legno che rappresenta il Dna umano, con i suoi codici e i suoi misteri, tra religione e scienza. Con l’Ave Maria di Schubert cantata a pieni polmoni da Al Bano; gli amici come Renato Pozzetto; Massimo Cacciari, che insegna all’università  Vita e Salute; Ferruccio Fazio, ex ministro ed ex primario dell’ospedale. Con l’associazione dei Sigilli, stretta intorno alla sorella del sacerdote. Con il vicepresidente del San Raffaele, Giuseppe Profiti, e l’uomo della cordata Ior e consigliere di amministrazione della fondazione, Vittorio Malacalza, a incarnare il ponte verso il futuro, nel tentativo di dare continuità  alla «creatura» di colui che fu l’allievo di don Giovanni Calabria.
La famiglia dei raffaeliani predica «serenità », ma la parola che viene ripetuta più spesso negli interventi è proprio quella: raffaeliani. Sottolineata per comunicare orgoglio e appartenenza. È una funzione, quella del mattino a Milano, che con toni sommessi racconta il senso di unità , di riconoscenza al fondatore e riconoscimento di un ruolo, mai forte come ora che la casa è rimasta senza padre e deve affrontare la bancarotta da un miliardo e mezzo di euro, tra le «voci infami» dei nemici e lo spettro della giustizia. I camici bianchi sono forse più che gli abiti scuri da funerale, mescolati con l’azzurro e il verde delle altre tute da lavoro, dei medici, degli infermieri e dei ricercatori. Tina Cal, moglie di Carlo, il braccio destro di don Verzé suicidatosi lo scorso luglio, esprime il suo «cordoglio». Ci sono altre parole che risuonano più volte nel microfono, dietro la bara: «eccellenza», lavoro come «missione». «Non so quale potrà  essere l’evoluzione — conclude Giuseppe Profiti — ma sono certo che il San Raffaele continuerà  la sua opera perché la sua fiamma è salva, integra, viva».
Nel pomeriggio il feretro viene trasportato a Illasi, provincia di Verona, dove don Verzé era nato. È come «il ritorno di un vecchio patriarca alle sue origini», dice il vescovo durante l’omelia: «È vissuto tra applausi, che non disdegnava, e grattacapi», era una persona di «estrema complessità , con il culto della razionalità  e della libertà , ma nello stesso tempo guidato dalla fede ecclesiale che in lui era ben radicata». Monsignor Zenti fa un solo accenno alla vicenda giudiziaria: «Don Luigi appartiene al clero veronese da oltre 25 anni e perciò è un mio prete. Questo per portare l’identità  e la sua opera dentro una certa oggettività  di buon senso, senza voler tessere il panegirico e lasciando che la giustizia faccia il suo corso». La salma viene sepolta nel cimitero di Illasi. Verrà  spostata al San Raffaele, secondo la volontà  dello stesso don Verzé, nella cappella della Madonna della Vita di cui era devoto. 


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