by Editore | 31 Gennaio 2012 9:41
Gli imprenditori stranieri potrebbero investire nel nostro paese, quelli nostrani assumerebbero senza remore e retropensieri tanti giovani e i precari si trasformerebbero d’incanto in lavoratori regolari, riuscendo infine a costruirsi un futuro. Senonché, questo meccanismo virtuoso è bloccato da un gigantesco granello di sabbia nell’ingranaggio. L’avrete già capito: il granello di sabbia è l’art. 18, una maledizione. La logica è stringente. Come fa un imprenditore ad assumere, se dei giudici dissennati (comunisti?), sulla base di uno Statuto dei lavoratori operaista, non può licenziare un/una dipendente perché è della Fiom, o gay, o con ridotte capacità lavorativa per infortunio o malattia contratta sul lavoro, o in stato di gravidanza, pena essere costretto a riassumerlo?
Per assumere bisogna licenziare, ai licenziati si dovrebbe dare di che vivere ma purtroppo non ci sono i soldi. Inoltre, la cassa integrazione ha fatto il suo tempo e andrebbe ridotta ai casi di rientro certo. A chi restasse fuori bisognerebbe dare un reddito, ma dove vai a trovarli i soldi con questi chiari di luna?
Non è una rappresentazione teatrale, questa. È cronaca. E nella cronaca come in larga parte dell’opinione pubblica è passata l’idea che siccome c’è chi ha troppi diritti e chi non ne ha alcuno, non resta che toglierne un po’ ai primi per darne ai secondi, oppure garantire a chi è fuori l’ingresso nel lavoro ma in cambio di qualcosa. Il modello Pomigliano ha fatto strada, si è fatto legge generale, è diventato imperativo assoluto. Al massimo si può discutere se togliere l’art.18 ai nuovi assunti per sempre o «solo» per tre anni, se cancellare il padre di tutti i diritti del lavoro con il Contratto unico d’ingresso o con l’apprendistato. Come ha scritto domenica Eugenio Scalfari su «Repubblica» citando Luciano Lama e chiamando a rapporto Susanna Camusso, «Quando il sindacato mette al primo posto del suo programma la disoccupazione vuol dire che si è reso conto che il problema è angoscioso e tragico e che ad esso debbono essere sacrificati tutti gli altri obiettivi. Per esempio quello, peraltro pienamente legittimo per il movimento sindacale, di migliorare le condizioni degli operai occupati. Ebbene, se vogliono esser coerenti con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione, è chiaro che il miglioramento delle condizioni degli operai occupati passa in seconda linea».
A Scalfari si potrebbe suggerire una chiave di lettura opposta: quando si pretende di scambiare il lavoro con i diritti non si penalizzano soltanto quei lavoratori (oggi i neoassunti, domani tutti) ma la democrazia.
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