La rivolta dei forconi (e la legalità perduta)
CATANIA — È un’isola in ginocchio l’effetto delle «Cinque giornate di Sicilia», come le hanno chiamate i capipopolo trasformatisi in siculi «indignados», pronti a sbandierare minacciosi slogan contro «una classe politica da cacciare» e a raccogliere adesioni per il «Movimento dei forconi». La caotica variabile della disperazione si specchia in un’isola assediata dai Tir incolonnati ovunque, bloccando porti, mercati, autostrade. Con le autobotti rimaste nelle raffinerie di Gela e Priolo e i distributori di carburante a secco. I negozianti con gli scaffali vuoti. Le strade delle città quasi libere. Il resto nel caos. Compresi i templi di Agrigento e le altre mete turistiche, difficili da raggiungere. Come le fabbriche, i posti di lavoro, gli ospedali.
Ma al quarto giorno della protesta che potrebbe non concludersi stanotte perché minacciano di procedere a oltranza, dopo le prese di distanza di sindacati e tradizionali associazioni di coltivatori e artigiani, a insinuare il dubbio di una infiltrazione della mafia, pronta a cavalcare i drammi delle categorie produttive, è Ivan Lo Bello, il numero uno di Confindustria in Sicilia: «Stiamo presentando un dossier per documentare la presenza di esponenti vicini alle cosche mafiose ai posti di blocco».
Un’accusa che scatena il finimondo, mentre ai «ribelli» siciliani arrivava la solidarietà di autrasportatori e disoccupati calabresi pronti a mobilitarsi anche occupando oggi la Salerno-Reggio Calabria. Un’accusa rimbalzata a Palazzo d’Orleans, la sede del governo regionale, dove il governatore Raffaele Lombardo con i prefetti delle maggiori città è rimasto impegnato tutto il giorno in un vertice senza esito con i rappresentanti delle cordate più agguerrite, da quelli di «Forza d’urto» ai determinati leader dei «Forconi». Tutti duri e violenti contro Lo Bello che ha trovato sponda nel procuratore di Palermo Francesco Messineo e nel procuratore nazionale antimafia Piero Grasso con riferimento «a fenomeni possibili, da accertare con rigore e severità ».
Ma su ben altra posizione si è schierato il patron del Palermo calcio, Maurizio Zamparini, applaudito ai blocchi dove per radio arrivava la sua voce: «Mafiosi sono quelli che stanno uccidendo l’Italia che produce, non i manifestanti». Poi, ecco una notizia che fa trapelare la probabile aspirazione politica di chi ha la regia di questa «rivolta sociale» perché Zamparini, col suo fare schietto, dice di avere incontrato alcuni rappresentati dei «Forconi»: «Probabilmente aderiranno al “Movimento della gente” da noi fondato l’anno scorso a Roma. Stessa rabbia. Agricoltori e autotrasportatori sono disperati perché questo Stato sta uccidendo quelli che lavorano e producono…».
Un’apoteosi per il presidente arrivato dal Nord che rincuora questo pezzo di Sud in rivolta contro il caro benzina, le tasse, le norme europee sulla pesca, i controlli amministrativi, le cartelle esattoriali, i precari a rischio, il lavoro che non c’è. In un mix di richieste che, come dice Lo Bello, è in gran parte rivolto al governo nazionale: «Eppure l’unico risultato è l’autolesionismo che già produce alla Sicilia danni per 20 milioni di euro».
Sbeffeggiando il presidente di Confindustria, il leader dei «padroncini» dell’Aias Antonio Richichi dice che «mancano i soldi per andare a protestare a Roma», il responsabile dei «Forconi» Martino Morsello comincia lo sciopero della fame e Mariano Ferro dello stesso movimento esce da Palazzo d’Orleans amareggiato: «Non ci basta qualche caramella». Riferimento esplicito alle piccole concessioni di Lombardo che ha pensato a qualche agevolazione da praticare attraverso le esattorie della Serit, aperture di credito artigianale e un disegno di legge sul commercio. Niente rispetto al tutto che si invoca ai blocchi dove da ieri lavora anche la Digos per individuare frange di estrema destra, forse qualche anarchico e i mafiosi indicati da Confindustria. Sia perché uno Stato di diritto non può tollerare l’aperta sospensione della legalità , il blocco delle attività economiche, il disagio dei cittadini rimasti senza generi di prima necessità . Sia perché dietro la protesta c’è una sofferenza sociale crescente, cui occorre dare una risposta.
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