by Editore | 23 Gennaio 2012 8:45
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COLUMBIA (South Carolina) — Deve averlo sospettato già in Iowa, quando aveva vinto di misura prima di scoprire che in realtà aveva perso. Ma è con l’umiliante sconfitta in South Carolina che Mitt Romney ha dovuto tristemente dar ragione ai Beatles: money can’t buy you love, il denaro non ti compra l’amore. Quantomeno quello della base repubblicana.
Ridotto all’essenziale, è questo il dramma di un candidato che era sceso nel Sud imbattuto, con una formidabile macchina da guerra e la convinzione di poter indossare il manto dell’inevitabile prescelto. E che invece riparte verso il prossimo appuntamento in Florida in chiaro affanno, circondato da dubbi crescenti sulla solidità della sua candidatura, che mostra una preoccupante debolezza strutturale tra i conservatori duri e puri, pilastro di ogni maggioranza presidenziale repubblicana. Soprattutto, quella che doveva essere una contesa breve, si delinea ora come una maratona piena di trappole: «Abbiamo davanti una strada lunga e un sacco di lavoro», ha ammesso ieri Romney.
E’ bene dirlo subito. Egli resta il favorito. Incrociandolo sabato nella lobby del suo albergo, alla domanda su cosa avrebbe significato una sconfitta per la sua campagna, ha risposto che «comunque andrà , tutto sarà a posto». E in realtà il suo vantaggio, sul piano organizzativo e finanziario, appare ancora eccessivo rispetto agli avversari per non fare la differenza in uno Stato grande e variegato come la Florida, dove per dirne una Romney ha già speso 7 milioni di dollari in spot televisivi e Newt Gingrich, appena 800 dollari. Sic, ottocento.
Ma il Sunshine State è solo una tappa. E il clima della gara repubblicana è cambiato. Gingrich ha dimostrato di essere un ciclone, soprattutto nei confronti diretti. Romney si è confermato incapace di scaldare il cuore dei militanti, inviso agli evangelici e al movimento del Tea Party. E ora è costretto a giocare in difesa. Nulla lo dimostra meglio della mossa di ieri: pressato dagli avversari, incalzato dai media, il miliardario ha annunciato che domani renderà pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi. «Abbiamo sbagliato a non farlo per così lungo tempo — ha detto —, causando un motivo di distrazione dai veri temi della campagna. E’ tempo di tornare alla sostanza: leadership, carattere, visione, lavoro, freno all’invadenza del governo federale».
Quello della ricchezza personale è comunque un tema a doppio taglio. Romney ha probabilmente perso il South Carolina nel dibattito fra i candidati, quando aveva balbettato in risposta alla domanda sul fisco. E Gingrich ha avuto vita facile nell’attaccarlo come «avvoltoio» per il suo ruolo in Bain Capital, la società d’investimenti dove Romney moltiplicò la ricchezza di famiglia. E’ però una retorica anti-capitalista, che alla lunga potrebbe ritorcersi contro l’ex Speaker: «Quando i miei avversari attaccano il successo e l’impresa — ha detto Romney —, non attaccano solo me, ma ogni persona che sogna un futuro migliore. Questo ce lo dovremmo aspettare dal presidente Obama. I repubblicani non demonizzano la prosperità ».
Ma il più grande handicap, con cui l’ex favorito deve fare i conti, se lo porta dentro: la sua apparente incapacità di essere autentico, la disinvoltura con cui cambia posizione inseguendo lo Zeitgeist. Nello straordinario ritratto pubblicato su Rolling Stones, Rick Perlstein riconduce questo tratto del carattere di Romney alla sua volontà di uccidere metaforicamente la figura del padre. Nel 1966, George Romney, governatore del Michigan, era considerato la migliore promessa repubblicana per la Casa Bianca. Ma rovinò le sue chance per un eccesso di sincerità , schierandosi con coraggio contro la guerra del Vietnam. Pagò caramente, perse le primarie contro Nixon. Un trauma per Mitt, che da allora non ha mai avuto il coraggio di prendere una posizione elettoralmente rischiosa. Così fu a sinistra di Ted Kennedy sul matrimonio gay, quando lo sfidò per il Senato. Ora è a destra, per conquistare la nomination repubblicana. Perché dovrebbero credergli?
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