La paura dei cristiani: «Meglio il regime di Assad delle vendette islamiche»

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L’eccezione che conferma la regola dei cristiani siriani schierati in tutto e per tutto con il regime si incarna nella figura di padre Paolo Dall’Oglio, che l’anno scorso è stato messo all’indice dai capi delle Chiese locali per le sue critiche alla repressione violenta delle manifestazioni per mano della polizia di Assad. Per incontrarlo siamo saliti al suo centro di eremitaggio abbarbicato tra le forre rocciose di Mar Mussa. «È il primo episodio di violenza odiosa ai danni di un religioso, deve servire da monito alla comunità  internazionale» osserva amareggiato questo gesuita nato a Roma nel 1954 e in Siria da oltre tre decadi, riferendosi all’uccisione del pope cristiano-ortodosso ieri nei sobborghi di Hama.
La minoranza cristiana in questo Paese è dominata dalla paura. Sono pronti a chiudere gli occhi di fronte all’orrore delle brutalità  commesse dai militari pur di non perdere la loro posizione di privilegio nel sistema di potere alauita sciita. Sanno bene che la democrazia significa vittoria dell’Islam sunnita. E la temono come la peste. Scelgono invece la modernità , anche se non democratica, che garantisce però alle loro donne di non dover indossare il velo, sostiene intelligente e provocatorio padre Paolo.
Dall’autunno ha accettato di restare più o meno isolato nel suo monastero distante quasi 100 chilometri da Damasco, che lui stesso volle rimettere in funzione negli anni Ottanta dalle rovine abbandonate quasi due secoli fa. «È stata la condizione per permettermi di rimanere nel Paese dopo che era stato già  reso noto il mio decreto di espulsione. La Chiesa locale in gran parte non mi voleva. In passato non avevano apprezzato tra l’altro le mie denunce contro i casi diffusi di omosessualità  e pedofilia tra alcuni prelati importanti. E le mie critiche al regime sono diventate un’arma eccellente per cercare di liberarsi di me. Poi la reazione dei miei amici nel Paese e all’estero mi ha salvato. Il regime ha concesso la grazia: resto in cambio della discrezione. Ma è complicato farmi tacere del tutto».
A sentire però le critiche contro padre Paolo tra gli esponenti del clero locale non è difficile cogliere il senso profondo della storica alleanza tra regime e cristiani in Siria. «Gira voce che sia una spia americana. Hanno trovato visori notturni a raggi infrarossi tra le sue cose», confida Gabriele Daoud, prelato della Chiesa siro-ortodossa nella basilica di San Giorgio, il vescovado nel cuore della città  vecchia di Damasco. Parole che possono solo fare sorridere chi appena conosce il gesuita italiano. Se resta una traccia forte del suo passato tra le fila dell’estrema sinistra italiana è proprio il radicato antiamericanismo. «Padre Paolo è un utopista. Non capisce che i contestatori del presidente Bashar sono prezzolati agli ordini dell’Arabia Saudita. Chiedono riforme? Ma sono già  stati superati dalle promesse del nostro governo che garantirà  una nuova Costituzione e libere elezioni a giugno. Le loro richieste sono già  state esaudite», aggiunge il sacerdote Chihade Abboud, portavoce del patriarcato Melkita.
È dalla fine dell’Impero Ottomano che i cristiani residenti nel moderno Stato siriano cercano la protezione del potere centrale. «Dopo l’eclissi del mandato francese a metà  degli anni Quaranta, trovarono un’intesa con il potere sunnita. Ma la loro posizione di privilegio è cresciuta dopo il colpo di Stato alauita negli anni Settanta. Da allora il Paese è governato da un’alleanza di ferro tra le minoranze. Cristiani, sciiti alauiti, drusi e persino curdi sanno bene che i loro privilegi si fondano sulla soppressione di quelli della maggioranza sunnita», osserva Mouner Darwish, siriaco ortodosso e autore di un libro sull’emigrazione cristiana dalla Siria. Minoranza in crisi: una condizione che è diventata la regola tra i cristiani sempre più minacciati in Medio Oriente. «Basta rilevare il fallimento violento delle rivoluzioni in Egitto, Libia e Yemen per capire le nostre paure. Se poi aggiungiamo la crescita generalizzata dei Fratelli musulmani, a partire dalle ex piazza laiche della Tunisia dove oggi le elezioni premiano gli islamici, non è difficile capire i motivi dell’ostilità  cristiana nei confronti delle rivolte in Siria», sostiene il proprietario armeno di «Avicenna», nota libreria della capitale. Solo una ventina d’anni fa le 11 denominazioni cristiane locali raccoglievano il 13% della popolazione. Ma oggi sono scese all’8%, con un tasso di natalità  fermo al 1,5%, quasi la metà  di quello musulmano. Commenta Darwish: «Siamo una comunità  sulla difensiva. Pensiamo che l’Occidente ci abbia ormai abbandonato nelle mani dei Fratelli musulmani. Il nostro ultimo bastione resta per molti di noi il presidente Assad. Un atteggiamento forse comprensibile. Ma perdente».


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