La partita dello Ior Salvare l’ospedale e poi passare la mano

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Ad aggiudicarsi l’ospedale sarà  l’imprenditore Giuseppe Rotelli (Gruppo ospedaliero San Donato) che con la sua proposta da 305 milioni ha innescato l’asta? L’offerta è sul tavolo dei commissari straordinari nominati dal Tribunale fallimentare: a un primo esame appare corretta e conforme al bando di gara. Non è escluso, però, che l’industriale Gianfelice Rocca (Gruppo Humanitas-Techint) possa rientrare sul filo di lana con un rilancio — si dice — intorno ai 320 milioni. Il termine è il 5 gennaio. Ma entro il 10 gennaio alla cordata della Santa Sede (Ior-Malacalza), che aveva messo sul tavolo 250 milioni e oggi gestisce l’ospedale, basta pareggiare l’offerta più alta per vincere la partita. 
Sembra tutto semplice e lineare. Non è così.
Da tempo si dice che lo Ior, una volta messo in sicurezza il San Raffaele, sia pronto a sfilarsi. Ma non Vittorio Malacalza, l’imprenditore di Genova entrato nell’operazione su invito del cardinale Tarcisio Bertone. Anzi. Il suo ruolo si configura di ora in ora sempre più strategico. E il suo interesse per il San Raffaele potrebbe prescindere dall’alleanza con lo Ior, anche perché è tra i pochi imprenditori italiani cui non manca la liquidità .
In questo scenario appare quasi scontato che il tandem targato Santa Sede, da luglio alla guida dell’ospedale milanese, non molli la partita. Con ogni probabilità , dunque, verrà  pareggiata l’offerta di Rotelli (o quella di Rocca se arriverà ). E una volta raggiunto l’obiettivo del salvataggio del San Raffaele, con l’accordo dei creditori e lo scorporo delle attività  sanitarie nella newco, potrebbero entrare nuovi soci con Malacalza, apportando ulteriore liquidità , in alternativa allo Ior. È qui che potrebbe giocare la sua partita Rocca, se non dovesse fare un’offerta diretta: allearsi in seconda battuta con Malacalza sostituendo lo Ior. È un’ipotesi su cui molti sono pronti a scommettere.
In ogni caso, nonostante il raffreddamento degli ultimi giorni, che alcuni hanno interpretato in realtà  come una strategia da partita a poker, l’Humanitas ha predisposto le «munizioni». Infatti, da una parte l’assemblea di fine anno ha conferito una delega al consiglio di amministrazione per aumentare il capitale, dall’altra il gruppo ha ottenuto fidejussioni bancarie da Ubi Banca. 
Il fatto, comunque, che la sfida sul San Raffaele si misuri ben oltre l’offerta originaria di 250 milioni è merito della sentenza-pilota del Tribunale fallimentare di Milano che ha aperto un gara contestualmente alla concessione del concordato preventivo (accordo con i creditori). Per adesso il valore dell’ospedale è lievitato, grazie a Rotelli, di 55 milioni (oltre ovviamente all’accollo di 500 milioni di passività ). Un eventuale rilancio di Rocca alzerebbe ancora la posta. 
E intanto Malacalza, al di là  dell’interesse economico per il San Raffaele, tesse le sue relazioni tra le varie anime dell’ospedale. Nelle ore immediatamente successive alla morte di don Luigi Verzé è stato tra i pochissimi ammessi a entrare in Cascina, la casa privata dove il sacerdote viveva con i fedelissimi Sigilli. E ieri Malacalza fuori dalla camera ardente a chi gli chiedeva se è pronto insieme allo Ior a raccogliere l’eredità  del prete-manager ha detto: «Ci proviamo. Non siamo degni probabilmente, ma difenderemo la sua opera».
Un problema contingente è il riassetto del consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor, al vertice del gruppo, che oggi ha quattro consiglieri sui sette originari. I due rappresentanti dell’Università  del San Raffaele si sono dimessi a ottobre e don Verzé era il presidente. Non è una questione secondaria nel momento in cui è proprio il cda della Fondazione a dover prendere la decisione finale sulle offerte d’acquisto.


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