LA PARTITA A SCACCHI DI RE LANTERNA

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Qui lo scenario muta. Nell’anomala maggioranza a due anime su cui campa il gabinetto professorale chiamato a salvare l’Italia dal default, sta meglio che a Palazzo Chigi: ha un potere d’interdizione; i peones temevano lo scioglimento delle Camere; rassicurati, fanno quadrato. Gli resta uno zoccolo duro elettorale sotto ipnosi televisiva, e sa dove cercare sostegni (ad esempio, dalla gerarchia ecclesiastica, pagandoli in favori inauditi sulla pelle dello Stato). Passiamo alle congetture prognostiche. Il solo punto sicuro è che, rebus sic stantibus, non revochi la fiducia ai professori: istigato dai leghisti in furioso rigurgito tribale («stacchi la spina», cos’aspetta?), ogni tanto ventila propositi minacciosi, da non prendere sul serio; staccandola morrebbe col paziente; e resta da vedere se riesca a staccarla; in una congiuntura simile è prevedibile che dei gregari passino al campo governativo salvando indennità , rimborsi, pensione. Molto dipende dalle lune economiche. Qualora l’Italia esca stremata ma viva, grazie alla terapia eroica, ha partita elettorale scomoda chi vendeva illusioni: sfumata la sbornia, lo vedono dal vero, un pifferaio; istupidendo poveri diavoli s’arricchiva a dismisura, con largo beneficio degli adepti malaffaristi. Nella seconda ipotesi la primavera 2013 trova l’economia europea in sesto e l’effetto traumatico pesa meno: dirà  (il verbo puntuale è «sbraitare») d’avere visto giusto, mentre dei terroristi seminavano paure gratuite in odio al governo amato dal popolo; era un complotto; stampa eversiva, giustizia deviata, tenebrosi poteri forti, ecc.; e riprende fiato il partito della vita facile (lassismo fiscale, al diavolo la concorrenza, favori venali, mercati neri, logge, trionfi omertosi). Terza, sciaguratissima eventualità , quam Deus avertat, che, fallite le terapie, l’Italia affoghi: Stato insolvente significa tensioni crude; saltano i circuiti legali; nello status naturae immaginato da Thomas Hobbes «homo homini lupus» ma il Caimano Leviathan s’impone ai lupi. È la sua ora: il denaro gli scorre nelle mani; ha castelli, ville, lanterne magiche, trombe; schiera cappellani, maghi, sgherri; assolda compagnie di ventura.
Fantasie apocalittiche? Non direi. S’era fondato l’impero mediante frode, corruzione, plagio: è organicamente incapace d’autocontrollo; gli mancano categorie elementari, dalla morale al gusto. Confermano tale natura nove anni d’un malgoverno funesto: crede che tutto gli sia lecito; pretende poteri assoluti; lo stesso delirio sfoga sul palco internazionale. Supponiamo che l’Italia sia benestante e sull’onda del trionfalismo populistico Sua Maestà  riconfiguri lo Stato a modo suo. Quante volte l’ha detto, lamentando d’avere le mani legate, lui, «uomo del fare». Ecco quadri verosimili: abita al Quirinale, penalmente immune, quindi niente da obiettare alle soirées; da Monte Cavallo governa pro domo sua mediante docili ministri; presiede un Consiglio superiore della magistratura addomesticato; il pubblico ministero cambia nome, avvocato dell’accusa, e piglia ordini dall’esecutivo; fioriscono P5, P6 e via seguitando nella schiuma d’affari loschi. L’unico inconveniente è che, non essendo inesauribili le mammelle collettive, succhiate da boiardi, corruttori, corrotti e varia malavita, prima o poi sopravvenga la bancarotta. Che l’antietica berlusconiana portasse lì, era ovvio: nessun organismo sociale resiste al salasso sistematico; lo sviluppo economico richiede tensioni morali incompatibili con oppio televisivo, saturnali permanenti, furbizie gaglioffe. I caimani non leggono, quindi Re Lanterna non sa chi sia Max Weber, né cos’abbia scritto sull’etica calvinista nella cultura del capitalismo (ma un panegirista, forse burlone, gli attribuiva letture latine, niente meno che Erasmo).
Le prognosi non allargano i cuori. Il berlusconismo sopravvive, non foss’altro come potente lobby, dalle televisioni alla banca, con tante possibili cabale tattiche (fa testo l’infausta Bicamerale), né sono uomini della penitenza i dignitari d’Arcore. E i cantori sedicenti neutrali? Lo proclamavano condottiero neoliberale, salvo ammettere tra i denti che tale non sia un nemico del mercato: servizi simili segnano le persone, chi li ha resi probabilmente continua. Dopo 18 anni d’egemonia brutale o strisciante, quando non stava al governo, è trucco d’esorcista rimuoverlo dalla storia come non vi fosse mai entrato (così Benedetto Croce liquidava vent’anni fascisti, un brutto sogno). Rincresce dirlo ma i fatti parlano: aveva radici etniche e lascia impronte; dettava modelli accettati ex adverso; chiudendo gli occhi sulla colossale anomalia, professionisti della politica lo considerano ancora interlocutore valido. Iscriviamola nei caratteri meno lodevoli dell’anima italiana, una socievole indifferenza morale: è caduto sotto il peso d’errori suoi, sconfitto dai mercati; non che gli oppositori l’abbiano combattuto e vinto in termini d’idee e scelte etiche. In proposito, dovendo indicare una lettura istruttiva, nominerei Kafka, Il processo, secondo capitolo. Una domenica mattina Josef K., misteriosamente imputato, va in tribunale. Scenario onirico: il pubblico in galleria sta curvo toccando il soffitto con testa e spalle; qualcuno le appoggia al cuscino che s’è portato; aria greve, fumo, polvere, rumori confusi; la platea appare divisa tra due partiti. Nell’arringa K. sentiva in empatia metà  del pubblico. Lo interrompono degli strilli. Parlava stando su una predella. Sceso nella calca, vede i distintivi sotto le barbe: erano finti partiti; non fanno caldo né freddo le furenti invettive con cui li apostrofa. Gl’italiani hanno gravi doléances verso una classe politica connivente o inerte davanti al predone, fin dagli anni della resistibile ascesa.


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