by Editore | 4 Gennaio 2012 9:41
Una stangata da un miliardo di euro, secondo i calcoli della Coldiretti, minaccia di compromettere il già precario equilibrio su cui si regge la nostra agricoltura. La mannaia dell’Imu, la nuova tassa sugli immobili, andrà a colpire pesantemente anche i terreni agricoli, le stalle, i fienili, fino alle cascine e ai capannoni che servono per custodire trattori e altri attrezzi di lavoro. E perciò il mondo agricolo italiano chiede all’unisono che queste misure vengano bloccate con il prossimo decreto “Milleproroghe”, sollecitando il ministro Mario Catania ad aprire un tavolo di confronto per rilanciare un programma di politica agraria.
Un documento approvato dall’ultima Assemblea di Confagricoltura sostiene che più del 10% della manovra governativa si scarica sugli agricoltori e sulle loro famiglie. Per il presidente Mario Guidi, il decreto appena convertito in legge dal Parlamento “brucia” una percentuale equivalente del valore aggiunto prodotto dal settore. Il risultato è che, in base a un’indagine del Centro studi dell’organizzazione, oltre mezzo milione di aziende sotto i 20 ettari rischiano adesso di chiudere i battenti.
Il punto è che i terreni e i fabbricati agricoli vanno considerati, a tutti gli effetti, strumenti di produzione. La loro tassazione incide quindi direttamente sull’intera gamma alimentare, dalla verdura alla frutta fino all’olio e al vino. Ma il pericolo maggiore è che si diffonda una tendenza che può pregiudicare l’affidabilità e la stessa qualità dei prodotti, riducendo gli standard di sicurezza.
Le organizzazioni del settore lamentano poi che le proprie aziende – come afferma Giuseppe Politi, presidente della Cia (Confederazione italiana agricoltori) – siano state “ingiustamente escluse dagli interventi a sostegno delle piccole e medie imprese”. Sui loro bilanci, oltre al fisco, peseranno infatti onerose aliquote contributive. E tutto ciò rischia di aggravare ulteriormente gli effetti di una competizione internazionale sempre più agguerrita e spregiudicata, come dimostra anche il recente scandalo delle falsificazioni sui prodotti “biologici” provenienti dall’estero.
Sullo sfondo, è già aperto il confronto sul futuro della Pac, la politica agricola comunitaria, dopo il 2013. Oggi riguarda il 47% della superficie europea e oltre 18 milioni di occupati. In rapporto a questo ruolo rilevante, occorrono risorse adeguate. Ma per l’Italia si profila invece una riduzione del 6,9% e ciò sarebbe tanto più grave perché il nostro Pil pro-capite è scivolato a 6 punti sotto la media comunitaria, dai 7 sopra la media che vantava ancora 10-12 anni fa.
In un documento congiunto, le varie organizzazioni che compongono la filiera agro-alimentare italiana reclamano perciò che “gli interventi devono tenere in considerazione il differenziale di competitività a carico degli agricoltori europei e fra gli agricoltori europei dei diversi Paesi dovuto a norme comunitarie più rigorose rispetto agli standard internazionali, il valore delle produzioni, la quantità e la qualità del lavoro dipendente e autonomo, gli svantaggi naturali, gli impegni in campo ambientale e forestale, al fine di evitare fenomeni di dumping sociale, ambientale e sanitario”.
Per il Belpaese, ancor più che per i nostri partners europei, l’agricoltura rappresenta dunque un pilastro fondamentale dell’economia nazionale. Non solo per la produzione di cibo e quindi per l’occupazione nel settore e in tutto l’indotto. Ma anche per la difesa del territorio, del paesaggio rurale e quindi dell’industria parallela del turismo.
«L’Italia – protesta vivacemente Giulia Maria Crespi, presidente onorario del Fai (Fondo ambiente italiano) – è costituita da un tessuto continuo di campagna e terre coltivate, di boschi e foreste, di natura e cultura, che rappresenta un “unicum” in Europa e un patrimonio di tutto il Continente». E in tono ancor più polemico aggiunge: «Non si possono tassare le cascine e le stalle come i palazzi o le abitazioni in città . In questo modo, si mette a rischio la stessa sopravvivenza dell’agricoltura italiana nel suo contesto ambientale e paesaggistico, compromettendo anche il turismo culturale e quello eno-gastronomico».
Sono segnali di allarme che travalicano i legittimi interessi di categoria. E il “governo di impegno nazionale” farà bene a tenerne il massimo conto, per salvaguardare il settore primario su cui si fonda l’intero sistema economico.
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