LA FORZA DI MONTI TRA I PARTITI E LA UE
È passato poco tempo da quando Monti ha fatto l’impegnativa affermazione, intesa a riassicurare in primo luogo la Germania e ad ottenerne il sostegno in una situazione palesemente difficile, che l’Europa non ha più ragioni di temere dell’Italia. La risposta, che ha il sapore di un’amara ironia, della cancelliera Merkel è stata che l’Italia ha energie sufficienti per farcela da sola. Insomma, la lettera è stata rispedita al mittente, mostrando ancora una volta come l’Unione Europea sia una creatura malformata e traballante. Chi sa se sia vero che la Deutsche Bank stia già stampando i nuovi marchi. Una situazione come questa, è chiaro, crea seri grattacapi al governo Monti, ma il problema che si pone è: essa lo indebolisce o lo rafforza nel contesto politico nazionale? Ci pare che lo rafforzi, poiché meno che mai si vede quale altro esecutivo potrebbe sostituirlo. Il che non è però certo in contraddizione con il fatto che il governo deve destreggiarsi nel suo percorso riformatore tra scogli assai pericolosi, quali sono la crisi organica dei partiti, il rapporto tormentato con i sindacati e lo scatenamento delle corporazioni decise a difendere i loro interessi consolidati.
Partiamo dallo stato dei partiti. Il presidente del Consiglio ha recentemente asserito che i partiti restano sulla scena nelle vesti di protagonisti. Si può ben comprendere che egli si trovi nell’obbligo di tributare loro un tale omaggio. Ma ciò corrisponde alla realtà ? Ci pare che definirli protagonisti significhi mettere la sordina al dato cruciale che il gravissimo affanno del paese ha le sue radici non solo nell’economia, ma parimenti nelle condizioni in cui effettivamente versano i partiti; che ci troviamo quindi investiti oltre che da un’emergenza economico-sociale anche da quella causata da un sistema politico in crisi organica.
Guardiamo in faccia l’insieme delle cose. Abbiamo un governo nato dall’incapacità dei partiti di farne sorgere uno che ne fosse l’espressione. Un governo che, come Monti ha ripetutamente sottolineato, resta in sella grazie vuoi ad un persistente significativo grado di consenso popolare causato dalla paura che la sua caduta provochi un pericoloso vuoto nella guida del Paese cui i partiti non sarebbero in grado di porre rimedio vuoi alla fiducia conferitagli da una composita maggioranza parlamentare le cui componenti, attraversate da molteplici contrasti, non staccano la spina perché a loro volta prese dalla paura degli effetti sul loro elettorato.
Lo sbandamento del Paese presenta analogie con quello dei primi anni Novanta: entrambi – si noti – segnati tanto dall’allarme economico quanto dallo scompaginamento del quadro politico. Ebbene, oggi come allora tutto è in subbuglio. Intorno al governo, si dispone il cerchio dei partiti i quali lo appoggiano ma si trovano, chi più chi meno, in una palese crisi di identità e nell’incertezza delle relazioni che intendono tra loro stabilire; sono insicuri delle proprie basi elettorali; avanzano difformi rivendicazioni; sono incapaci di elaborare programmi coerenti e credibili. Nel Parlamento e all’esterno di esso si muove un secondo cerchio composto dai partiti minori all’opposizione, chiassosamente uniti contro il governo ma viaggianti ciascun per sé. Un terzo cerchio è costituito dai sindacati, i quali nel confronto con le politiche sociali del governo ondeggiano tra spinte unitarie e spinte contrastanti. Infine, vi è un quarto cerchio è formato dalle corporazioni. È dal considerare la somma di tali fattori che siamo indotti ad affermare che ci troviamo nel mezzo di una nuova crisi di sistema che segna il franamento della cosiddetta Seconda Repubblica e di cui occorre prendere atto; e che l’attuale governo – forte per le qualità delle persone che lo compongono, per il coraggioso impegno assunto nel misurarsi con la drammaticità dell’emergenza economica dell’Italia e per l’appoggio del popolarissimo Presidente della Repubblica – ha a che fare con partiti purtroppo non già protagonisti ma minati dalla delegittimazione che li investe, con i nodi che ne derivano.
Due sono le cose da sperare. La prima è che i partiti non cedano alla catastrofica illusione di ritenere l’insuccesso di Monti la via della loro rimonta e trovino le risorse per mettere mano alla ricostruzione di un decente sistema partitico, il quale palesemente non potrà essere la riproposizione di quello vecchio screditato e fallito. La seconda che il governo faccia uso dell’energia necessaria per mettere i partiti e i sindacati di fronte alle loro responsabilità e per resistere ai ricatti delle corporazioni decise a mobilitare le loro piazze.
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