La doppia azione di Monti e Draghi aiuterà  il salvataggio dell’euro

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Poi è iniziata la crescita dello spread fin sopra i 5,50 pp dell’inizio novembre, quindi una discesa intorno a 3,70 ai primi di dicembre, seguita da una risalita a 5,30 il 9 gennaio. Il 20 gennaio lo spread è di nuovo sceso a 4,31 con un calo di 1 punto percentuale in 10 giorni. La domanda è: si tratta di un’inversione di tendenza o di una oscillazione?
Propendiamo per l’inversione di tendenza sia perché avvenuta mentre un’agenzia di rating penalizzava ben 9 Stati europei sia perché scendono i tassi anche di Spagna e Francia. Ovvero di tre Paesi che già  fanno quasi il 50 per cento del Pil della Uem (Unione economica e monetaria europea) e dove Italia e Spagna sono considerate a rischio dai mercati. L’Italia si sta inoltre riavvicinando al tasso di interesse sui titoli spagnoli che avevamo superato, essendo considerati meno affidabili, nell’agosto del 2011 arrivando a un’eccedenza di 1,86 punti percentuali a fine dicembre mentre adesso il differenziale è sceso a 0,8. Dunque la ripresa di fiducia dei mercati verso l’Italia fa riemergere anche la nostra maggiore forza economica rispetto alla Spagna.
Siamo dunque propensi a vedere un’attenuazione delle tensioni nella Uem per due ragioni: per il governo Monti, che sta restituendo credibilità  alla terza economia di Eurolandia, la cui crisi avrebbe trascinato con se l’euro; per il presidente della Bce, Mario Draghi, che ha preso decisioni importanti.
Essendo noto il ruolo di Monti, consideriamo quello di Draghi. Appena insediato a novembre come presidente della Bce ha ridotto, con due successivi tagli, il tasso ufficiale di interesse dello 0,50 per cento riportandolo all’1 per cento, il livello storicamente più basso. Quindi ha varato una strategia di misure non convenzionali di politica monetaria per alimentare la liquidità  bancaria e placare i mercati creditizi e dei titoli di Stato. Il 22 dicembre, quasi 500 miliardi di euro sono stati erogati alle banche della Uem al tasso dell’1 per cento con durata triennale accettando quali garanzie una grande varietà  di titoli di credito purché dotati di una certificazione di qualità  del governo o della banca centrale nazionale. Semplificando si può dire che la Bce dà  liquidità  alle banche a tasso d’interesse zero. Attualmente il credito totale della Bce alle banche si aggira sui mille miliardi di euro mentre è già  annunciata per febbraio nuova liquidità  per quattro-cinquecento miliardi di euro all’1 per cento a tre anni.
Le cinquecento banche che hanno fruito dei prestiti triennali di dicembre (tra cui le banche italiane che hanno assorbito circa cinquanta miliardi di euro) li hanno destinati dapprima a quatto usi: rimpiazzo di prestiti avuti con scadenza di un anno dalla Bce; depositi temporanei alla Bce; credito a famiglie e imprese; acquisto di titoli di Stato. Ma gradualmente la situazione si sta modificando con segni di crescita del credito all’economia e acquisti di titoli di Stato di Paesi della Uem che pagano bene, determinando aumenti di quotazioni e graduali ribassi dei tassi.
Dunque Draghi sta svolgendo in modo indiretto, tramite il sistema bancario e senza violare lo statuto della Bce, la «funzione di prestatore di ultima istanza» che la Banca centrale Americana (Fed) ha svolto a 360 gradi nella crisi. La Bce con Trichet e con Draghi ha, come la Fed, comperato anche titoli di Stato ma questa scelta non poteva che essere provvisoria e di minor portata rispetto a quella di dare liquidità  illimitata alle banche.
Ma Draghi è ben consapevole che la liquidità  e il credito bancario non bastano per rimettere in carreggiata un sistema economico-monetario privo di una politica economica e fiscale comune. Per questo egli si è espresso con decisione a favore del Trattato sul rigore di bilancio (Fiscal Compact), che la Uem si accinge ad approvare, in quanto ritiene che gli Stati debbano avere finanze pubbliche sane e sostenibili nel lungo termine. Ma nel contempo chiara è anche la sua richiesta che il Fondo salva Stati esistente (anche se quasi inerte) e il Fondo di stabilizzazione che gli subentrerà  nel 2012 diventino pienamente operativi, anche con l’assistenza della Bce come agente, per sostenere gli Stati Uem in difficoltà  ed evitare funzioni di supplenza della Bce.
Se tutto ciò accadrà , la situazione della Uem si normalizzerà  nel medio termine purché la stessa rilanci anche gli investimenti che per molti dovrebbero essere finanziati con gli eurobond. Per questo, se negli imminenti vertici europei non si faranno errori gravi all’insegna del solo rigorismo e si registreranno anche aperture sulla crescita della Uem, allora si potrà  dire che la sua drammatica crisi è in fase di superamento anche se ci vorrà  del tempo. Monti e Draghi hanno la caratura per indirizzare il confuso duo «Merkozy». Potrebbe allora succedere che due cittadini di un Paese spesso indicato come la mina vagante europea, diano un contributo determinante per rilanciare la Uem e l’euro al cui varo avevano contribuito vari altri italiani.


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