La donna che ha riscritto il lager

by Editore | 27 Gennaio 2012 6:45

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Germaine Tillion (1907-2008) è una figura esemplare nella storia del XX secolo in Francia. Da una parte, è un personaggio impegnato attivamente nella vita politica del suo paese: resistente della prima ora, prigioniera e deportata nel corso della Seconda guerra mondiale; militante per la pace e la dignità  umana, contro la violenza durante la guerra d’Algeria (1954-1962); combattente per i diritti umani nei decenni seguenti. Dall’altra, è una delle etnologhe più originali che la Francia abbia conosciuto e una storica di prim’ordine, autrice di studi esemplari sulla guerra d’Algeria, Les Ennemis complémentaires (1960), e sulla deportazione, con Ravensbrà¼ck. Germaine Tillion è dunque prima di tutto un’abitante del campo, e solo dopo la sua storica. Viene deportata per la sua attività  di resistente nel campo di Ravensbrà¼ck, situato a nord di Berlino e destinato principalmente alle donne, alla fine dell’ottobre 1943.
Poiché Ravensbrà¼ck descrive nel dettaglio la vita del campo, qui sarà  sufficiente indicare alcune date che scandiscono la prigionia di Tillion. Nel febbraio 1944, ha la brutta sorpresa di vedere la propria madre arrivarvi a sua volta: à‰milie Tillion è stata imprigionata e deportata in quanto complice della figlia. All’inizio del mese di marzo 1945 accade un evento traumatico per Tillion: la madre viene inviata nella camera a gas di Ravensbrà¼ck, condannata a morte per i suoi capelli bianchi. Il 23 aprile 1945, infine, fa parte di un gruppo di deportate liberate dalla Croce Rossa svedese. 
Molto presto viene sollecitata a dare la propria testimonianza su quanto ha vissuto. Il suo primo testo su Ravensbrà¼ck, scritto nel 1945, viene pubblicato l’anno seguente in un volume dedicato al campo, contenente i contributi di numerose ex deportate. Il suo capitolo, di gran lunga il più corposo, si intitola “à  la recherche de la vérité”; è scritto in prima persona, ma Tillion non vi riporta delle esperienze personali, si propone al contrario di accertare, nella misura del possibile, fatti oggettivi, corroborati dalle testimonianze di altre deportate. Ma, proprio in questo periodo, interviene un cambiamento importante nella maniera in cui Tillion concepisce il lavoro di conoscenza nell’ambito delle scienze umane e sociali. Le parole “fame” o “sofferenza” hanno cambiato senso; ora sa, infinitamente meglio di prima, a cosa corrispondano. Non si tratta affatto di sostituire il sapere con l’autobiografia, ma di ammettere che, di per sé, gli avvenimenti sono privi di senso: questo non può nascere che grazie all’interrogazione formulata da un essere umano particolare. La necessità  di armonizzare queste due fonti, la materia esteriore e l’esperienza interiore, condurrà  Tillion a rimettere mano al suo Ravensbrà¼ck.
È dopo la fine della guerra d’Algeria e dopo aver pubblicato la sua opera capitale sulla condizione delle donne che Tillion ritorna a Ravensbrà¼ck. La ragione immediata di questa decisione è la pubblicazione di un libro che la tocca personalmente: si tratta di un saggio in cui si sostiene l’inesistenza delle camere a gas nel campo femminile. Tillion, che vi ha perduto la madre, ne è profondamente colpita e mette mano a una nuova versione della sua descrizione di Ravensbrà¼ck. Ma la trasformazione che impone alla sua pubblicazione originale è molto più radicale. Quella che nel 1972 intraprende questa riscrittura è una persona differente da quella che, nel 1945, componeva il suo sobrio resoconto. Ora Tillion è decisa a introdurre la propria esperienza personale nella descrizione oggettiva del campo. Fin dall’introduzione al libro, offre il racconto del proprio arresto e della deportazione, come quello, più doloroso per lei, della prigionia, della deportazione e dell’uccisione di sua madre. Questa prospettiva rinnova tutto lo scritto che segue e conduce a un’ultima parte dove si trovano formulate alcune fondamentali questioni di metodo, soprattutto quella del difficile rapporto tra impegno e imparzialità , esperienza vissuta e riflessione astratta.
Un esempio dell’impatto del vissuto sul sapere è fornito dall’analisi che Tillion conduce sulla stratificazione per classi e per nazioni osservabile all’interno del campo. Mentre, nella versione del 1946, faceva prova di un certo “etnocentrismo” di classe, descrivendo le lavoratrici volontarie come provenienti dalla «feccia della nostra società » e le prostitute come «scorie irrimediabilmente perdute per la società », nel libro pubblicato nel 1973 sostituisce la prima frase con «non provenivano certo dall’élite della nostra società » ed elimina completamente la seconda. L’esperienza del dopoguerra l’ha condotta a cambiare un’altra descrizione: partendo dalla sua nuova concezione di patriottismo, rinuncia ad attribuire in modo definitivo delle qualità  e dei difetti alle etnie e alle nazioni. Nella prima versione poteva ancora parlare dell’«indegno popolo tedesco» che aveva «osato reclamare delle colonie», poteva evocare «quella propensione a tutte le dissolutezze che si trova nei tedeschi di entrambi i sessi». Dopo aver vissuto la guerra d’Algeria, non si permette più alcuna generalizzazione di questo tipo.
Negli anni che seguono la pubblicazione di questa seconda versione, Tillion non smette di tenersi al corrente su tutto ciò che si pubblica su Ravensbrà¼ck e i campi, non smette neppure di interrogare e di reinterpretare le proprie riflessioni, e questo la conduce, nel 1988 (ha appena compiuto ottant’anni!), a una terza e ultima versione di Ravensbrà¼ck, quella che esce oggi in italiano. I cambiamenti sono di nuovo numerosi, il piano del libro è completamente rivoltato, ma il punto di vista resta lo stesso: dopo aver assimilato tutto il materiale disponibile, ricrea il mondo del campo a partire da se stessa, e questo porta a una sintesi feconda degli elementi soggettivi e oggettivi. Ravensbrà¼ck ci appare oggi come un libro unico, che riesce a superare non solo la separazione tra testimonianza e storia, ma anche quella tra conoscenza e saggezza. Il risultato delle meditazioni dell’autrice non è tuttavia sempre incoraggiante. Il ritratto di Himmler è abbozzato in un paragrafo intitolato “I mostri sono uomini”. Conclusione piuttosto inquietante, perché se i mostri sono rari, gli uomini siamo tutti noi. 
Non è tuttavia la paura ciò che Tillion ha trattenuto della sua terribile esperienza, ma l’irreprimibile voglia di dare il proprio contributo perché al mondo ci sia un po’ più di giustizia e un po’ più di verità . Se Ravensbrà¼ck, malgrado i fatti deprimenti che evoca, non produce un sentimento di disperazione, è perché attraverso questo libro si entra in contatto con un essere luminoso, animato d’umorismo e anche, per quanto ciò possa sembrare paradossale, di gioia di vivere. Può darsi che Germaine abbia ereditato questa forza da sua madre, à‰milie Tillion, se si guarda alla lettera in cui quest’ultima si rivolge a una delle sue amiche del campo, solamente pochi giorni prima di essere uccisa. Scrive: «L’idea delle larghe compensazioni che la nostra vita presente ci offre mi ha d’altronde sempre sostenuta. Al di fuori delle grandi, imperiose ragioni che abbiamo di essere qui, sono convinta che vi troviamo uno straordinario allargamento del nostro orizzonte, in tutti gli ordini di idee, e possibilità  insospettate». Ravensbrà¼ck è uno dei prodotti più compiuti di questo “straordinario allargamento”.

*©Fazi editore 2012
(traduzione di Gabriella Bacelli)

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