La dittatura di Pinochet? Solo un «regime autoritario»
Ha un bel da fare il «piacione» Sebastàan Pià±era, il primo presidente della destra ex, post pinochettista a governare il paese dall’uscita di Pinochet dalla Moneda nel ’90. Se ha un po’ ha funzionato all’inizio (s’è insediato nel marzo 2010), è durato poco e se le cifre macro-economiche come al solito dovrebbero confermare la buona salute del paese, le cifre dei sondaggi sono lì a mostrare indici di gradimento pervicacemente bassissimi (intorno al 20%). Il fatto è che al di là dei sorrisi a tutta bocca e di un ostentato ottimismo alla Berlusconi, il miliardario Pià±era e il suo governo non riescono a nascondere la loro natura fondamentalmente pinochettista (senza post) e la loro propensione al revisionismo storico, o peggio al negazionismo.
L’anno scorso a farli ammattire è stata la rivolta degli studenti che pretendevano (e pretenderanno ancora da marzo, quando le vanzanze estive finiranno) di cancellare le fondamenta classiste e privatiste del sistema scolastico imposto da Pinochet (e mai toccato nei 20 anni di governi del centro-sinistra), adesso è una parolina, ma rivelatrice, a provocare polemiche incandescenti sia nella rete sia nella politica e nella società . «Regime». Regime, quello di Pinochet, e non «dittatura».
E che sarà mai? All’inizio di dicembre il ministero dell’istruzione, dove il «tecnocrate» Haral Bayer si è insediato il 29 dicembre (terzo ministro in meno di un anno), ha deciso di cambiare teriminolgia nei testi di storia patria destinati agli allunni delle elementari, dai 6 ai 12 anni. La dittatura di Pinochet dal ’73 al ’90 (3 mila desaparecidos almeno) non si sarebbe più dovuta catalogare come «dittatura» ma come «regime», sia pur «militare» e «autoritario». Proposta fatta propria e rilanciata senza batter ciglio dall’apposito Consejo Nacional de Educacion. Come al solito a far espoldere la bomba è stato il web dove il tema si è fatto incandescente. Il neo-ministro Beyer ha dovuto abbozzare assicurando che il governo non voleva assolutamente disconoscere «il carattere non democratico del regime militare e le violazioni dei diritti umani», si trattava solo del tentativo di trovare una formulazione che desse un senso «più generale» e permettesse una comprensione globale del processo storico in questione. Una toppa peggiore del buco. Comunque, dice Beyer che il governo è pronto a inviare al Cned «una nuova formulazione che risolva la controversia».
Ovviamente non si trattava di una svista. Ma del tentativo di rivedere la storia recente del Cile e di negare l’essenza dei 17 anni di dittatura pinochettista. Il 20 dicembre la Corte suprema ha votato un giudice pinochettista (e «fanatico anti-comunista»), Rubén Ballestreros, quale suo nuovo presidente. Ieri Pià±era ha accusato esplicitamente alcune organizzazioni dei Mapuche per gli incendi che stanno devastando il sud del Cile (i mapuche che si battono per le loro terre e non le grandi compagnie cilene e internazionali che se le stanno divorando) per cui ha confermato ancora una volta l’uso contro di loro della infame Legge anti-terrorista imposta da Pinochet. Sullo scambio di paroline proposto dal governo si è levato un vespaio. Rialzano la testa i vecchi pinochettisti ultrà dell’Udi, qualche timida protesta dai post-pinochettisti di Renovacion Nacional (il partito di Pià±era), rabbia degli organismi delle vittime, allarme lanciato dalla sinistra politica: per il deputato comunista Hugo Gutiérrez la mossa è parte di una offensiva su larga scala, oggi si vuol sostituire la parola dittatura con la parola regime, domani si parlerà di «eccessi» al posto degli osceni crimini commessi da Pinochet
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