by Editore | 4 Gennaio 2012 10:05
Può permettersi di essere ottimista perché gode di due grandi immunità morali: può tranciare giudizi sui predecessori e fregarsene dei successori che tanto, essendo politici, non saranno in grado di criticare le scelte “tecniche” ammesso che riescano a capirle. Il peggio che possa accadere ad un tecnico è di essere chiamato a vagliare ciò che un altro tecnico ha fatto e a prendere decisioni tecniche che quelli dopo di lui, altrettanto se non più tecnici, potranno valutare in ogni dettaglio.
Nell’attuale governo di tecnici l’unico ministro che non può godere di nessuna delle due immunità è quello della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola. È un tecnico che sarà valutato da tecnici e che è stato promotore e realizzatore di tutte le scelte “politiche” riguardanti la struttura delle forze armate e le spese per gli armamenti degli ultimi venti anni, di cui dieci da sostenitore e ispiratore di altri capi e dieci da diretto responsabile. La struttura militare di oggi è quella che lui ha lasciato e i programmi di armamento che oggi non ci possiamo permettere, che non ci servono e che c’impegnano per i prossimi 25 anni sono sue scelte. Che fossero scelte puramente “politiche”, di comodo e clientelari (nel senso attivo e passivo) è apparso evidente quando nessuna delle operazioni militari iniziate vent’anni fa e che ci hanno fatto salire nella considerazione del mondo ha mai richiesto una sola delle portaerei, uno solo dei cacciabombardieri, uno solo dei carri armati e semoventi che nel frattempo ci succhiavano risorse. Le operazioni hanno invece richiesto tutti quegli uomini che oggi si vorrebbero mandare a casa. Certo, abbiamo impiegato anche le lussuose portaerei e gli aerei sofisticati, ma come surrogati di mezzi molto più modesti. Era anche evidente che gli stessi responsabili politici che avallavano le sue scelte non avevano alcuna intenzione di impiegare tali armi e che piuttosto erano propensi a chiamare le azioni di guerra operazioni di pace o umanitarie. Era talmente chiara l’assenza di presupposti teorici che giustificassero i programmi degli armamenti avviati e i contratti capestro gioiosamente firmati che nel 2004 l’attuale ministro sentì il bisogno di redigere il primo e unico Concetto Strategico italiano che non seguiva alcuna direttiva politica in tal senso. Il concetto fu ripreso esattamente da quello americano, che, ovviamente, non era attagliato a una politica nazionale o europea, che non dovevamo condividere per forza e che, certamente, non avremmo potuto permetterci nemmeno alla scala ridotta che già allora si prevedeva. In compenso il concetto indicava come esigenze imprescindibili una serie infinita di mezzi e armamenti che servivano solo a soddisfare gli appetiti di chi aveva passato la velina della lista della spesa.
Non deve meravigliare perciò che oggi alla Difesa si attenda soltanto che “passi la nottata”; che piuttosto di toccare un solo programma miliardario si preferisca mandare a casa ufficiali e sottufficiali ancora distanti vent’anni dall’età pensionabile di qualsiasi altro dipendente pubblico. Il compito della difesa di oggi non sta nel tagliare qua e là le spese di funzionamento o escogitare qualche artifizio contabile che sembri un taglio ma in realtà non lo sia. Non si tratta di sopravvivere per tornare domani alle stesse condizioni di oggi e non dobbiamo sperare che scoppi qualche guerra che giustifichi portaerei, aerei e carri armati. Nemmeno per scherzo.
Il compito della nostra difesa oggi non è né un dilemma né un problema e neppure una sciagura da evitare: si tratta di cogliere l’opportunità di disegnare una struttura militare che serva veramente alle esigenze della nostra politica di oggi e di domani in un quadro europeo di equa ripartizione dei compiti e comune responsabilità della sicurezza. Non è necessario aspettare che l’Europa si metta d’accordo su un modello unico o che la Nato lo conceda. Possiamo e dobbiamo cominciare adesso con chiunque ci stia e se necessario da soli. L’importante oggi è tracciare la transizione verso il modello più adeguato alle esigenze di partecipazione internazionale alla sicurezza collettiva. La transizione più rispettosa della dignità dei nostri uomini e del sacrificio dei nostri concittadini.
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