La crociera della morte, 41 dispersi

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ISOLA DEL GIGLIO – Da ore non si sentono più i passi di uomini e donne che calpestano altre donne, uomini e bambini per avere un posto su una scialuppa. Ma a mezzanotte, quando ormai nessuno ci sperava più, arriva il colpo di scena. Due voci che gridano aiuto. Un uomo e una donna rimasti intrappolati nel ventre del colosso affondato. Si trovano su un ponte rimasto fuori dall’acqua. I soccorritori sono ancora lontani. Ci vuole tempo per salvarli.

Sono passate ormai ventiquattr’ore da quando gli altoparlanti annunciavano: «Abbiamo un piccolo problema all’impianto elettrico. Lo stiamo risolvendo. State calmi». A quest’ora, l’uomo che faceva l’annuncio, il comandante Francesco Schettino, è stato messo in stato di fermo. Ha portato la sua nave – città  sugli scogli, ha lasciato la nave prima di tanti altri. «Sono caduto», si giustifica. «L’ha abbandonata», dicono i magistrati. L’hanno trovato sugli scogli alle 23.30, quando la nave era ancora piena di crocieristi. L’ultima scialuppa di salvataggio è infatti partiti alle 3 della notte. Il comandante è stato portato in carcere a Grosseto, con l’accusa di omicidio colposo plurimo, naufragio, abbandono della nave. E ancora non si sa quanti morti abbia sulla coscienza.
Il silenzio della notte fa paura, in questa notte sull’isola. «Fino ad ora abbiamo lavorato in fretta senza fermarci un minuto, rischiando anche la vita – dice Luca Cari dei Vigili del fuoco – perché cercavamo i vivi. Solo all’alba potremo cercare i morti». E il comandante dei Vigili di Grosseto, l’ingegner Ennio Aquilino, precisa: «La nave ha 12 ponti e 7 o 8 sono sotto il livello del mare. Non abbiamo nemmeno finito di ispezionare la parte che è fuori dall’acqua. Quella è una cattedrale immensa, piena di labirinti. Stanotte altri nostri uomini cercheranno in ogni salone e in ogni cabina. Domattina ci metteremo gli scafandri e scenderemo nel ventre della nave». 
Tutti hanno paura di pronunciare numeri precisi. C’erano 4.232 passeggeri, sulla Costa Concordia, povera balena sventrata che all’ultimo istante ha cercato un rifugio a terra. All’appello mancano 41 persone, secondo i conti fatti da chi, con in mano la lista dei passeggeri e dell’equipaggio, ha poi contato i naufraghi partiti sui traghetti e sugli elicotteri dall’isola del Giglio verso Porto Santo Stefano. Qualcuno potrebbe essere sfuggito alla conta dei profughi, qualcun altro potrebbe avere raggiunto Santo Stefano con altri mezzi. Tre i morti accertati, due francesi in crociera e un peruviano che faceva parte dell’equipaggio. Ma c’è anche chi teme che le vittime siano di più. «La breccia – dice il sindaco Sergio Ortelli – è proprio all’altezza della sala macchine, e sotto l’acqua ci sono tutte le cabine dell’equipaggio, la lavanderia, i servizi… In mezza nave non è ancora entrato nessuno. C’è chi teme che le vittime possano essere sessanta». 
Stavano servendo il secondo turno della cena, quando la Costa Concordia ha toccato un piccolo scoglio accanto alle Scole – due scogli più grandi – e se lo è portato via come fosse un fuscello. «Risotto alla zafferano, pesce arrosto – racconta Luciano Castrò, con uno studio di comunicazione – e poi quel rumore. È come quando in autostrada strisci contro il guard rail. Subito le luci si sono spente e la nave si è inclinata. Sono caduti i bicchieri dai tavoli, poi le bottiglie dal bar. Ma nessuno annunciava nulla. Solo quella voce all’altoparlante per dire che si trattava solo di un guasto elettrico». Un’ora di silenzio e di paura. Per fortuna, appena dopo la partenza da Civitavecchia, c’era stata l’esercitazione anti naufragio. «Quando abbiamo sentito i sette fischi che ordinano l’evacuazione abbiamo capito che eravamo davvero in pericolo. Alcuni sono corsi in cabina, a prendere i documenti, le cose più preziose e soprattutto il giubbotto di salvataggio. Ma tante porte a tenuta stagna erano chiuse. Io ero sul ponte 12 e sono salito sulla scialuppa numero 4. C’era il panico e non c’era assistenza. C’era chi si buttava a corpo morto su chi già  era nella scialuppa, chi gettava dentro la moglie e i bambini». Giuseppe Lanzafame di Messina, in crociera con le sue due bimbe, di navi se ne intende perché è stato marittimo per 10 anni. «Siamo rimasti nelle mani di un gruppo di incompetenti. Più di un’ora senza avere notizie precise e poi il caos. Quelli dell’equipaggio non sapevano nemmeno come si mette in mare una lancia di salvataggio. Gridavano fra di loro, peruviani, cingalesi, indiani e non si capivano perché tanti non conoscono l’inglese e ovviamente nemmeno l’italiano. Alla guida della nostra lancia mi sono messo io, loro non sapevano dove mettere le mani». 
I mucchi di giubbotti arancioni e gialli (questi ultimi dell’equipaggio) nei piazzali dei porti del Giglio e di Santo Stefano raccontano quanto grande fosse questa città  sul mare. Milletrecento euro per sette giorni di crociera nel Mediterraneo, per due adulti e un bambino. C’erano anche 150 parrucchiere e parrucchieri, chiamati da una trasmissione tv, Professional look maker. «Io ho sentito un botto – dice Antonella Marteddu di Orosei – sembrava proprio di essere finiti contro una roccia. Subito sono caduti dei tavoli. La mia cabina, quando sono riuscita a prendere il giubbotto, era sottosopra. Ma com’è possibile che una nave moderna con radar ed ecoscandaglio non riesca a “vedere” uno scoglio?». «Quando ci hanno messo sulle lance e sui canotti – racconta Daniela Cauto – pensavamo di essere in salvo. E invece no. Due canotti si sono incagliati nello squarcio di lamiere provocato dallo scoglio, sono ancora là  appesi». 
Altri elicotteri spezzano il buio sulla nave perduta. La notizia del fermo del comandante Francesco Schettino conferma che la nave non doveva passare così vicina all’isola del Giglio. Ma lo stesso sindaco conferma che non era la prima volta. «Le navi Costa passano spesso qua vicino e i turisti lo sanno e vanno sul molo per vederle passare. Alla torre Saracena accendono il Gran Pavese e poi suonano per salutare. È una bella festa». Ex comandanti che non vogliono il loro nome sul giornale raccontano che le navi passano fra il Giglio e la costa anche per risparmiare gasolio in acque quasi mai agitate. «Ma d’estate – racconta uno di loro – gli scogli delle Scole si vedono bene, perché dietro c’è un grande villaggio turistico pieno di luci. In inverno invece è tutto spento». La Costa Concordia voleva essere come il Rex, voleva gli applausi di chi a terra sogna un viaggio fra luci e musiche.
«Sembrava di essere sul Titanic», dice Francesca Sinatra, giornalista Rai. «C’era chi ti si buttava addosso per arrivare prima sul ponte». Per fortuna, sul molo, c’era già  chi attendeva. Isola del Giglio è un paese di mille anime, in inverno. Tutti gli hotel meno uno, il Bahamas, sono chiusi, ma tutti hanno riaperto subito porte e camere. Anche la chiesa di San Lorenzo è diventata un dormitorio, come l’oratorio e la scuola elementare. «Tutti gli abitanti – dice Davide Stefanini, tabaccaio – sono corsi al porto e poi hanno aperto le loro case ai naufraghi. Tè per gli adulti, cioccolate per i bambini, vestiti asciutti. Hanno lasciato il loro letto caldo per dare una mano e nello stesso letto hanno messo mamme e bambini». C’è chi si abbraccia sul molo, quando parte l’ultimo traghetto. Una ragazza americana vuole restituire un giubbotto bianco e una signora le dice: «No, no, for you». Una bambina di Cagliari chiede alla madre: «Ma il traghetto è più sicuro della nave?». 
Il comandante dei vigili del fuoco, piccole ferite sul volto, riunisce gli uomini del Saf (gruppo speleo, alpino e fluviale) per decidere che fare nella notte. «Un’altra squadra entrerà  nelle cabine asciutte dove ancora non siamo arrivati».


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