La corsa dei nuovi spalloni che portano i lingotti in Svizzera

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Il lingotto fugge all’estero. Scappa per paura del default dell’euro e della patrimoniale di Monti. Scappa per non pagare le tasse. Sui blog finanziari il popolo dei Re Mida, quelli che hanno trasformato la ricchezza in oro, si pone domande inquietanti: «Ho calcolato che nei prossimi mesi, diciamo entro metà  2013, l’inflazione potrebbe salire di 6-8 punti percentuali. Mi conviene comperare oro per difendermi?». Acquistare lingotti in Italia per poi trasferirli oltralpe è diventata un’abitudine diffusa. Le statistiche dell’Istat confermano che lo è soprattutto nel ceto medio. Sono questi gli italiani che negli ultimi mesi hanno fatto salire gli indici: l’export verso la Svizzera di «oro greggio non monetario». Così come lo chiama l’Istituto nazionale di indagine statistica, è aumentato a settembre del 154 per cento rispetto allo stesso mese del 2010. E a ottobre il fenomeno si è ripetuto. In un quadro generale di riduzione delle esportazioni italiane, spiegano gli studi dell’Istat, il mercato dei lingotti è in controtendenza: «La crescita tendenziale delle esportazioni – si legge nel report emesso a inizio dicembre – è trainata dalle vendite di metalli di base e prodotti in metallo verso la Svizzera (0,88 punti percentuali) e la Francia (0,5 punti percentuali)». Perché anche la Francia? Semplice: perché in campo statistico il Principato di Monaco è considerato francese. Il lingotto fugge dunque fuori porta, attraversa le Alpi e si ferma a dieci chilometri dal confine italiano: a Monaco e Lugano. Un esodo da travet del week end, piccoli spalloni che portano oltreconfine lingotti di valore relativamente basso. Gente che deposita mentre va a fare acquisti nell’outlet svizzero a pochi chilometri dalla Brianza. «I politici sono venuti meno ai patti – spiega Maristella sul blog finanziario Finanzaonline – e hanno tassato una seconda volta i capitali scudati. È la dimostrazione che i governi italiani non sono affidabili. Meglio trasformare i soldi in oro e riportarli via». Un po’ di ideologia per giustificare la fuga non guasta.

DA LUGANO A MONTECARLO 
Nella classifica delle mete ideali di questo miniesodo, la Svizzera primeggia. Perché unisce la tradizionale riservatezza al vantaggio di avere, a differenza del Principato, una moneta propria. Così i travet della domenica pensano di difendersi da due rischi: la mega patrimoniale italiana prossima ventura e l’ipotesi di default dell’euro. Se si tornasse alle valute nazionali, con l’inevitabile corollario di una maxi inflazione, meglio aver investito il proprio gruzzolo in franchi svizzeri che in nuove lire italiane. Ma ogni medaglia, anche se d’oro, ha il suo rovescio. 
Chi rinuncia a fare lo spallone e acquista direttamente i lingotti dalle banche svizzere, potrebbe non essere tutelato: «Da tempo in tutto il Ticino sono ormai esaurite le cassette di sicurezza – scriveva a fine novembre Giuseppe Chiellino, titolare di una nwesletter on line del Sole24Ore – e dunque l’oro fisico acquistato presso la banca non viene ritirato e resta in deposito presso l’istituto di credito che lo inserisce nel conto patrimoniale del cliente». Se quel conto è cifrato, e dunque irraggiungibile dal fisco italiano, il lingotto è al sicuro come se si trovasse in una cassetta di sicurezza. Ma se la banca fallisse, il lingotto del travet brianzolo non sarebbe tutelato dalle iniziative del commissario liquidatore che potrebbe utilizzarlo per pagare i creditori della banca sottraendolo così alla disponibilità  di chi lo aveva depositato. L’eventualità  che fallisca una banca svizzera non è nella top ten degli eventi più probabili del 2012 ma è anche vero che nessuno è in grado di prevedere oggi quali effetti a catena potrebbe provocare un possibile default dell’euro. Così mentre ad agosto (più 141 per cento) e a settembre l’export di lingotti (più 154) è stato soprattutto verso la Svizzera, la carenza di cassette di sicurezza ha spinto una parte dei Re Mida italiani a rivolgersi a Montecarlo come destinazione alternativa. lo scettro dell’accordo fiscale
Il secondo motivo del cambio di destinazione di una quota di lingotti italici è nel rischio che Palazzo Chigi segua le orme di Germania e Gran Bretagna stringendo con il governo di Berna un accordo che farebbe cadere il segreto bancario sui patrimoni dei clienti italiani negli istituti di credito elvetici. La fine di un Bengodi che nel corso dei decenni ha permesso a una buona fetta di evasori e imprenditori italiani di creare oltralpe grandi e piccoli fondi neri. Si distruggerebbe così il retrobottega di quell’Italia del «piccolo è bello» che ha costituito per molto tempo l’ossatura sociale dell’esercito berlusconiano: «L’accordo fiscale con la Svizzera? E’ un’ipotesi che stiamo approfondendo», ha detto Mario Monti nella conferenza stampa di fine anno. 
Un annuncio che probabilmente trasferirà  fuori dal Canton Ticino una parte del flusso di lingotti che ogni giorno attraversano le Alpi. Ma quanto «oro greggio non monetario» esce dall’Italia in un anno? A settembre l’export ha superato il muro delle 10 tonnellate ed è probabile che il consuntivo 2011 sia superiore alle 100 tonnellate. È chiaro che non si tratta solo di lingotti e lingottini portati dai ragionieri brianzoli. Una quota consistente (secondo alcuni analisti preponderante) di questo flusso è dovuta ai depositi esteri delle banche. Ma una parte comunque crescente è legata all’esportazione fai da te.

al riparo dalle tempeste ordinarie
Non sono solo le gravi difficoltà  dell’euro a favorire il mercato dell’oro. È la crisi mondiale a spingere in quella direzione. Secondo gli analisti del World Gold Council «nel terzo trimestre 2011 gli acquisti globali di oro per investimento sono saliti da 352 a 468 tonnellate, con un incremento del 33 per cento». A comprare lingotti sono soprattutto le banche centrali dei paesi emergenti ma a loro si sommano tutti quegli investitori occidentali che vogliono tutelarsi dagli alti bassi di dollari ed euro. E questo accade anche in periodi, come quello che stiamo attraversando, in cui il rafforzamento del dollaro ha provocato una flessione delle quotazioni del metallo più prezioso. 
Con una cerimonia pubblica con tanto di telecamere e fotografi, come si trattasse di scoprire un nuovo monumento, nel settembre dello scorso anno è stato inaugurato al Westin Palace Hotel di Madrid un bancomat di lingotti d’oro. L’apparecchio, curiosamente denominato “Gold to go vending machine”, macchina per oro da viaggio, si presenta con l’aspetto innocente di un distributore. Al posto delle bibite o dei preservativi offre lingottini da 1, 5 e 10 grammi. L’erogatore è collegato alla sala operativa di una società  specializzata che varia il prezzo in tempo reale a seconda degli andamenti di mercato. Ne sono stati installati a Francoforte, Mosca e, naturalmente, ad Abu Dhabi. Ma non manca un esemplare ad Orio al Serio, l’aeroporto situato nel cuore del nordest italiano. A dimostrazione che la tentazione di trasformare la ricchezza in oro è ben radicata nella cosiddetta “padania”. Soprattutto in quella parte che spera di far coincidere la secessione politica con quella monetaria, uscendo dall’euro e battendo una propria divisa. Ma sarà  poi vero che con la moneta padana i lingotti fuggiti in Svizzera tornerebbero in Italia?


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