by Editore | 28 Gennaio 2012 13:57
Che implose nel sangue dopo le proclamazioni d’indipendenza di Slovenia e Croazia subito riconosciute – nonostante le promesse ufficiali della Commissione Badinter della nascente Unione europea – prima da Germania e Vaticano, poi da tutte le capitali europee. Arrivò per ultima Washington, timorosa del disastro che si annunciava ma che in parte aveva preparato con ricche sovvenzioni ai partiti «democratici» cioè, nella fattispecie dell’89 balcanico, ipernazionalisti.
Da quella data in poi fu solo ferocia, spari su chi voleva la pace, cecchini. Dall’alto di Sarajevo le milizie serbobosniache giocavano al tiro al piccione con i civili musulmano bosniaci. Pochi s’interrogavano sul processo che «all’improvviso» aveva contrapposto in armi le storiche componenti della città ; quanto invece doveva essere stato preparato; quali effetti maledetti stava producendo. Accadde che i primi gruppi della difesa della città furono le bande della malavita organizzata, guidate da Caco (Musan Topalovic), Celo e dal «comandante Brazina», tutti leader mafiosi, tutti segretamente alle dirette dipendenze del presidente Alja Izetbegovic. Così mentre si scatenava l’assedio di Sarajevo da parte dei serbi di Bosnia, in città avveniva il doppio assedio delle milizie musulmano bosniache ai danni dei civili serbi e croati. Di questo siamo stati testimoni dal 1992 al 1995. Con pochi altri. Ora – come racconta Massimo Moratti – dopo venti anni e un lavoro rischioso di investigazione condotto in primo luogo da alcuni media di Sarajevo, a partire dalle inchieste del settimanale Dani, arriva dalla magistratura bosniaca la conferma dei crimini del doppio assedio. Che, di fronte ai troppi che vogliono ancora nascondere la verità , appare coraggiosa e necessaria. Non tanto per relativizzare le responsabilità , quanto per costruire una memoria condivisa, la sola che può ricostruire trame unitarie tra quei popoli.
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