La carica dei 101 negoziatori europei al tavolo delle riforme
Ascolta gli interventi di un rappresentante per ciascuna delle 34 delegazioni, moderate da un presidente lussemburghese, Georges Heinrich. Esamina un centinaio di emendamenti, prendi nota delle riserve e dei «memorandum», sempre e solo in inglese (senza traduzioni). E alla fine incrocia non le dita, ma politica e arte diplomatica e spera che da qui nasca effettivamente il Trattato della nuova «Unione economica rafforzata». Nella storia europea si sono alternati «manifesti», «appelli», «caminetti», «conferenze intergovernative». Simboli solenni, come la Sala dell’Orologio al Quai d’Orsay, la sede del ministero degli Esteri francese a Parigi, dove alle ore 16 del 9 maggio 1950 il ministro Robert Schuman, lesse la «dichiarazione» da cui tutto ebbe inizio. Oppure simpatici portafortuna, come la tartaruga che nell’autunno del 2002 Valéry Giscard d’Estaing collocava sul bancone della presidenza della «Convenzione» incaricata di scrivere il Testo della Costituzione europea (l’attuale Trattato di Lisbona).
Oggi tocca al «gruppo dei cento più uno», riuniti nel palazzo Charlemagne (una delle sedi della Commissione). Con un compito meno suggestivo, ma forse più difficile: concordare un testo che metta d’accordo 26 Paesi, dalla Germania alla Grecia (il Regno Unito «osserva») su come tenere sotto controllo deficit e debito, prevedendo sanzioni certe e senza aprire uno scontro istituzionale con Commissione ed Europarlamento. Tutto ciò entro il 23 gennaio, quando il documento dovrà arrivare sul «desk» dei ministri finanziari dell’Eurogruppo. La direzione dei lavori sarebbe dovuta toccare a Vittorio Grilli, nella sua veste di presidente del Comitato economico finanziario, carica che ha ricoperto fino a poche settimane fa, quando ha lasciato la posizione di direttore generale del Tesoro per diventare vice ministro del governo Monti. E allora a capotavola siede Georges Heinrich, uno dei collaboratori più stretti del leader lussemburghese (nonché presidente dell’Eurogruppo) Jean-Claude Juncker. Ma gli italiani non mancano e, nei primi due incontri (l’ultimo venerdì 6 gennaio), sono stati tra i protagonisti del dibattito. La delegazione italiana è guidata dall’ambasciatore Fernando Nelli Feroci. E sono italiani anche Marco Buti, che nel salone è (con altri tre funzionari) la voce della Commissione europea, e Roberto Gualtieri, europarlamentare del gruppo Socialisti e democratici, portabandiera dell’emiciclo di Strasburgo con il tedesco Elmar Brok (Ppe) e l’ex premier belga Guy Verhofstadt (liberaldemocratici). «A un certo punto — racconta Gualtieri, 45 anni, professore di storia contemporanea alla Sapienza di Roma — siamo intervenuti tutti e tre in fila sull’articolo 3 (regole sul deficit,ndr) per condividere una stessa osservazione. Questo per dire che l’Italia c’è, anche se naturalmente non esistono assi trasversali».
«Questo tipo di formato — commenta l’ambasciatore Nelli Feroci — sta funzionando. La presidenza ha diviso il testo per “issues”, cioè per dossier tematici e quindi non ci sono sovrapposizioni e perdite di tempo». Alla vigilia ci si attendeva una dinamica dominata dalla Germania, rappresentata da Nikolaus Meyer-Landrut (sottosegretario per gli Affari europei della Cancelliera Angela Merkel). Ma finora i più attivi si sono dimostrati i tre europarlamentari. «È vero — osserva ancora Nelli Feroci — si stanno adoperando con rigore e puntualità per mettere in luce gli aspetti più deboli del testo». D’altra parte, va ricordato, l’Europarlamento sarà escluso dalla decisione finale che verrà adottata, si pensa, il 30 gennaio dal Consiglio europeo. Quindi se non ora, quando? Il dinamismo dei tre «guastatori» Gualtieri-Brok-Verhofstad è evidente se si ha un pizzico di pazienza per contare gli emendamenti depositati. La classifica: Europarlamento, 26; Banca centrale europea, 14; Commissione, 13. Tra i Paesi principali: Germania, 16; Italia, 12; Francia e Belgio, 11.
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