Jacquier, al fronte con la compagna per scrivere dalla parte delle vittime

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  «La guerra mi fa orrore, ma è solo così che riesco a raccontare davvero la sofferenza delle persone» spiegava Gilles Jacquier, un giornalista esperto e appassionato, per vent’anni in prima linea, dal Kosovo all’Afghanistan, dall’Algeria alle rivoluzioni arabe. «Non un cerca guai» ha ripetuto ieri il collega Bernard Coq con il quale aveva vinto nel 2003 il premio Albert Londres, il più prestigioso riconoscimento del giornalismo francese, per i servizi televisivi sulla seconda Intifada. L’inviato di France 2, che aveva compiuto 43 anni il 25 ottobre scorso, era stato anche insignito due volte del premio Ilaria Alpi, l’ultima nel 2011 per il suo lavoro sulla rivoluzione in Tunisia. In Siria, era arrivato insieme alla sua compagna Caroline, fotogiornalista. 
La direzione della televisione francese ha confermato che faceva parte di una delegazione autorizzata dal regime: Jacquier aveva ricevuto un visto ufficiale. Il ministro degli Esteri, Alain Juppé, ha chiesto a Damasco un’inchiesta per chiarire le circostanze dell’uccisione del reporter, chiedendo alle autorità  siriane di «garantire la sicurezza dei giornalisti internazionali sul loro territorio e di proteggere questa libertà  fondamentale che è la libertà  di informazione» e rivolgendo le proprie condoglianze alla famiglia della vittima e a France 2. 
«Colpiva per la qualità  del suo lavoro. Sicuramente era un reporter di razza, che portava la telecamera dove accadevano veramente i fatti», lo ricorda Andrea Vianello, direttore scientifico del Premio Ilaria Alpi che oggi dedica tutta la sua copertina all’inviato ucciso, ripubblicandone i reportage premiati. Con la morte di Jacquier, secondo “Reporter senza Frontiere” dal 1995 a oggi sono stati uccisi 859 cronisti.


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