Iran. «Spia Usa» condannata a morte
Due annunci arrivati ieri da Tehran avranno il sicuro effetto di far salire ancora un po’ la tensione tra l’Iran e le nazioni occidentali. Il primo è che un tribunale iraniano ha emesso una condanna a morte per un uomo, un cittadino degli Stati uniti di origine iraniana, ex marines, accusato di spionaggio a favore della Cia americana. La notizia è riferita dall’agenzia di stampa Fars.
Il secondo è che l’Iran ha cominciato ad arricchire uranio in un nuovo sito, Fordow, sottoterra nelle montagne vicino alla città di Qom (è l’impianto di cui l’Iran aveva ammesso l’esistenza nel settembre 2009). La notizia era ieri sulla prima pagina di Keyhan, giornale molto vicino alla Guida Suprema, ed è stata ripresa da altri media di stato. E’ confermata da fonti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica a Vienna, per cui non è una novità : nelle sue ispezioni di routine l’Aiea aveva riferito che l’Iran di recente ha installato nuove centrifughe (per l’arricchimento dell’uranio) nel sito di Fordow, e che l’impianto era pronto a entrare in attività . Non è stato precisato se si tratti di arricchimento al 3,5% (combustibile per le centrali elettriche) o al 20% (per la ricerca medica). La cosa è stata comunque commentata al Dipartimenti di Stato a Washington come un nuovo gesto di «sfida» e una nuova escalation da parte dell’Iran.
La condanna a morte appioppata a Amir Mirzaeì Hekmati, 28 anni, aumenta il gelo tra Tehran e Washington. Il portavoce della magistratura, Gholam Hossein Mohseni-Ejeì, ha dichiarato che il giovane è stato condannato «per aver cooperato con l’America, nazione ostile, e per spionaggio per la Cia», e dunque colpevole di essere «corrotto e mohareb», («in guerra con Dio»). L’imputato ha 20 giorni di tempo per presentare appello alla Corte Suprema.
Hekmati è detenuto in Iran da agosto, ma la notizia è divenuta pubblica il 18 dicembre, quando la tv di stato ha mandato in onda un filmato in cui l’uomo si identifica, dice di essere entrato nei marines nel 2001, di aver servito in Iraq e essere stato addestrato nello spionaggio. Poi dichiara che la Cia gli aveva affidato la missione di guadagnare la fiducia degli iraniani portando loro informazioni riservate trafugate dalla base Usa di Bagram in Afghanistan, in sostanza infiltrare i servizi iraniani. La Cia allora non aveva voluto commentare.
Le confessioni pubbliche sono spesso usate dalla magistratura iraniana, soprattutto nei casi che possono assumere una valenza politica, e sono molto criticate dalle organizzazioni per i diritti civili. La famiglia Hekmati negli Stati uniti si dichiara sotto shock; in un comunicato firmato dalla madre afferma che «Amir non è un criminale né una spia, che la sua vita è messa a repentaglio a fini politici», e che era andato in Iran a trovare la nonna con un regolare permesso di ingresso. Il governo Usa nega che Hekmati sia una spia e ne ha chiesto il rilascio. Ieri un portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale presso la Casa Bianca, Tommy Vietor, ha detto che il governo sta cercando di verificare la notizia della sentenza capitale: «Se è vera, condanniamo con forza tale verdetto».
L’arresto e condanna di un ex marine iranian-americano può ben rientrare nella sorta di guerra fredda in corso tra Stati uniti e Iran. Ma conta anche il momento politico. Di recente le autorità iraniane hanno annunciato di aver smantellato una rete di spie ingaggiate dalla Cia. Domenica il ministro iraniano per i servizi di intelligence, Heydar Moslehi, era stato più preciso: ha detto che l’Iran ha arrestato numerose spie decise a mettere in opera un piano americano per disturbare le elezioni di marzo. Ha precisato che «erano in contatto con l’estero attraverso reti del cyberspazio», e che hanno confessato.
L’Iran si prepara infatti a votare il 2 marzo per il rinnovo del parlamento, le prime elezioni dopo le contestate presidenziali del giugno 2009 – in un momento di grande malumore interno per la gestione dell’economia, oltre che di tensione internazionale. pochi candidati riformisti si sono fatti avanti. A preoccupare il regime però è la possibilità che prenda piede un boicottaggio generalizzato del voto, come propongono appelli che circolano sui siti d’opposizione. A questo ha già risposto l’ayatollah Khamenei, dicendo che le elezioni pongono un rischio per la sicurezza nazionale, e lanciando appelli all’unità . La tensione interna e le tensioni internazionali qui si saldano: la tensione esterna serve anche a sopprimere il dissenso in terno in nome della sicurezza nazionale.
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