by Editore | 5 Gennaio 2012 9:19
Obama può tirare un sospiro di sollievo. E l’Iowa può ripiombare per altri quattro anni in clandestinità mediatica. Il risultato delle primarie repubblicane in questo stato scontenta infatti tutti i candidati, tranne Rick Santorum le cui speranze a livello nazionale sono però quasi nulle. Scontenta il vincitore Mitt Romney, nonostante si porti a casa tutti e 28 i delegati in palio, perché con 30.015 voti (24,6%) ha superato Santorum (30.007 voti) di soli 8 voti. Scontenta la candidata più vicina al Tea Party, Michelle Bachmann, che nello stato in cui è nata ha preso solo il 5% arrivando quinta e già ieri pomeriggio in una conferenza stampa ha annunciato il suo ritiro dalla competizione.
Obama può sospirare perché queste primarie hanno dimostrato quel che era già emerso durante tutto l’anno, e cioè che il partito repubblicano (Gop, Grand old party) è lacerato in tre anime diverse particamente incompatibili tra loro, e che sono infatte rappresentate dai tre candidati giunti per primi in Iowa. La prima anima, quella dell’establishment repubblicano, è incarnata dal mormone Mitt Romney, 64 anni, figlio di un governatore del Michigan, lui stesso ex governatore del Massachusetts: ed è un’anima vicina al gran capitale e, come si diceva un tempo, al «complesso militar-industriale», ma non necessariamente bigotta né particolarmente libertaria. Romney viene visto come il candidato più «eleggibile» perché meno indigesto agli elettori indipendenti e alla frazione moderata dei repubblicani.
La seconda ala è quella dei cristiani conservatori, un tempo si sarebbe detto dei bigotti razzisti, che si sono riversati nel Tea party. È l’anima che più diffida di Romney perché da governatore del Massachusetts ha approvato una legge sanitaria più a sinistra della riforma di Obama, salvo poi dirsi oggi pronto a smantellare la riforma obamiana. Quest’anima è antiabortista, omofoba (scatenata soprattutto contro i matrimoni gay) ed è bene espressa dall’ex senatore della Pennsylavania Rick Santorum, 53 anni (i suoi genitori vengono dalla zona vicina al lago di Garda: l’Italia non sempre esporta il meglio di sé). Santorum pare addirittura ossessionato dal sesso anale e si proclama creazionista (rigetta l’evoluzione delle specie). Poiché in Iowa circa il 70% di coloro che si sono recati ai caucus dicevano di sentirsi vicini al Tea Party, si capisce perché il «moderato» Romney (che cerca di far dimenticare la sua moderazione) abbia ottenuto solo il 25%. Ma basta vedere i siti americani che sfottono Santoro sulle sue affermazioni di sperma e feci per capire che ha pochissime speranze.
La terza anima del Gop è quella libertaria (ancorché razzista), alla Henry David Thoreau, incarnata dal texano Ron Paul, 76 anni, contrario alle basi all’estero, alla guerra, favorevole a legalizzare la droga, fautore dello stato ultraminimo alla Nozick (niente servizi sociali per intenderci) che attrae molto i giovani repubblicani (mentre il Tea Party è un movimento sostanzialmente di anziani). Ron Paul ha ottenuto un buon risultato (il 21,4%, con 26.219 voti) e sarà ancora più competitivo nelle prossime primarie, quelle del New Hampshire che si terranno fra appena cinque giorni. Ma in realtà Ron Paul non ha nessuna probabilità di ottenere la nomination repubblicana. Il suo vero obiettivo è duplice. Da un lato aprire la strada a suo figlio, Rand Paul, senatore del Tennessee, per preparare una sua futura candidatura presidenziale; dall’altro di arrivare alla Convention che si terrà a Tampa in Florida dal 27 al 30 agosto avendo in tasca abbastanza delegati da poter condizionare la piattaforma del Gop (il programma di governo di un’eventuale nuova presidenza repubblicana).
Si è già detto della Waterloo di Michelle Bachman – che guarda caso è nata in un paesino dello Iowa che si chiama Waterloo. Ma il responso dei caucus è stato amaro non solo per lei, (che comunque ha annunciato di voler continuare a «lottare contro la deriva socialista che Obama imprime al paese»), ma anche per Newt Gingrich (68 anni) e per il governatore del Texas Rick Perry (61 anni). Gingrich ha ottenuto solo il 13,3 % e Perry il 10,3%. Per tutti e due le prossime tornate in New Hampshire (10 gennaio), in South Carolina (21 gennaio) e Florida (31 gennaio) saranno decisive. Nella posizione peggiore sembra essere l’ex presidente della camera dei rappresentanti Gingrich, che ha già speso quasi tutti i 9 milioni di dollari che aveva raccolto, mentre Perry aveva accumulato un tesoretto di 17 milioni. Però ambedue alla fine dovrebbero abbandonare la gara: Perry ha già detto che ora va a meditare in Texas, disertando il terreno in New Hampshire. Questi ritiri sono pessime notizie per Romney. In Iowa ha infatti potuto vincere contro i Tea Party perché il loro 70% era suddiviso tra quattro candidati diversi. Ma in stati dove l’estrema destra del Tea Party è forte anche più che in Iowa, come la South Carolina, la posizione di Romney diventa critica, se avrà di fronte un solo estremista di destra invece di cinque, anche se è sostenuto dalla direzione del partito.
La debolezza di Romney e lo spostamento a destra del dibattito interno al partito repubblicano sono la seconda ragione di ritrovato ottimismo per Obama: se prevarrà Romney, a novembre sarà forte l’astensionismo in campo repubblicano tra i sostenitori del Tea Party, anche perché Romney è mormone e in quanto tale aborrito dai fondamentalisti evengelici e battisti; se invece prevarrà un candidato del Tea Party, Obama avrà buon gioco a presentarsi come il centro (giocando con la sponda che gli offre oggettivamente il movimento Occupy Wall Street). I democratici e Obama sarebbero infatti entustiasti di avere di fronte un candidato come la Bachman (che però ormai è andata), o come Santorum già crocifisso nei blog e nelle trasmissioni tv di tutti i comici e imitatori Usa. Ecco la ragione per cui oggi le prospettive di rielezione sono per Obama migliori di qualche mese fa (e infatti il suo grado di approvazione è risalito dal 38 al 45%, sempre poco, ma assai meglio).
L’unico problema per Obama è che dopo una discussa sentenza della Corte suprema, ormai le campagne elettorali possono essere finanziate senza rivelare il nome dei finanziatori: a questo scopo basta fondare un Pac («comitato d’azione politica») formalmente indipendente dall’organizzazione elettorale del candidato, ma che in realtà fiancheggia e compie il lavoro sporco, per esempio diffonde pubblicità diffamatorie sugli avversari del candidato che però può sempre dichiarare di non esserne responsabile. Già nelle elezioni di mezzo termine del 2010, i miliardari fratelli Koch avevano usato il varco aperto dalla sentenza per inondare di dollari i candidati del Tea party. Ma questa è la prima campagna presidenziale che si tiene nel nuovo regime di finanziamento libero e deregolato. E sarà difficile per Obama eguagliare i fondi dei repubblicani (mentre nel 2008 li aveva surclassati). Il vantaggio è che Obama in questi mesi non deve spendere un dollaro, mentre i suoi avversari si svenano per combattersi tra loro all’ultimo spot.
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