Il re dei casinò e il film anti-Mitt così un fiume di denaro avvelena la gara
MANCHESTER (New Hampshire) – Il Diavolo in persona si sta comprando le primarie. In una campagna elettorale dove a destra la religione è onnipresente, invadente perfino nelle sue versioni più bigotte (l’ultraconservatore cattolico Rick Santorum ha paragonato i gay a chi «pratica la bestialità , accoppiandosi con gli animali»), è il démone del denaro a fare l’apparizione più spettacolare. A 78 anni Sheldon Adelson è il re del vizio più inviso ai mormoni come Mitt Romney, ma certo non tollerato neppure dai fondamentalisti protestanti delle congregazioni evangeliche: il gioco d’azzardo. Adelson è il fondatore di Las Vegas Sands, ha fatto miliardi aprendo nuovi casinò non solo nel Nevada ma nel mondo intero, perfino a Macao dov’è in corso su di lui un’indagine per corruzione. È un suo assegno da cinque milioni, staccato al momento opportuno, che ha mandato in onda il documentario-bomba contro Mitt Romney. Un film di denuncia fatto a regola d’arte, degno di un grande regista di sinistra come Michael Moore. S’intitola King of Bain, sottotitolo Quando Romney arrivò in città , e chiunque può rivederlo sul sito www.kingofbain.com. Racconta la vera storia di Romney “l’imprenditore”, quando alla testa di Bain Capital lui si arricchì gettando in rovina intere aziende, smembrate e rivendute a pezzi, con migliaia di licenziamenti.
Il documentario concentra in 15 efficacissimi minuti le testimonianze di lavoratori e pensionati ridotti sul lastrico, un pezzo di cinema-verità che mette a dura prova l’immagine del favorito tra i repubblicani. Ma non è una congiura degli uomini di Barack Obama, non è una manovra di sinistra. Adelson, immigrato lituano, è quanto di più reazionario ci sia negli Stati Uniti: amico per la pelle di Newt Gingrich, lo appoggia perché ne condivide le posizioni anti-sindacali e pro-Israele («i palestinesi non esistono, quel popolo è un’invenzione»). Spezzoni del documentario contro Romney stanno bombardando sotto forma di spot pubblicitari le tv della South Carolina, prossima tappa delle primarie il 21 gennaio. È la vendetta di Gingrich, l’estremo tentativo di far deragliare la candidatura di Romney. Ma Gingrich stesso non avrebbe i mezzi per pagarsi campagne così costose, occupando a tappeto lo spazio televisivo per 11 giorni. Né quei soldi glieli potrebbe dare il suo amico Adelson: per legge le donazioni dirette ai candidati non possono superare un tetto di 5.000 dollari. Quella legge però è una burla. Tutti la stanno aggirando, in un vortice di spese che fanno di questa gara una vera “asta fra miliardari”. Lo ha consentito una scellerata sentenza della Corte suprema, dove dominano i giudici di destra (estrema) nominati da presidenti repubblicani come Ronald Reagan, George Bush padre e figlio.
Nel gennaio 2010 la Corte ha stabilito che una multinazionale è uguale a un cittadino: ha lo stesso diritto alla libertà di espressione. Dunque, così come non si può togliere la libertà di parola al singolo americano, neppure ai colossi capitalisti vanno imposte restrizioni. Il proprietario dei casinò Las Vegas Sands non ha versato i 5 milioni a Gingrich, bensì ha creato coi fondi aziendali un Political action committee, abbreviato Pac, anzi Super-Pac vista la dimensione. Si chiama “Winning Our Future”. Da lì è partito il blitz contro Romney. Il quale non può certo scagliare la prima pietra. In quanto a venerazione del Vitello d’Oro, lui è il primo colpevole. Non solo per i dubbi metodi (vedi sopra) con cui si è arricchito, ma perché anche Romney ha i suoi bravi super-Pac alle spalle, amici miliardari che pagano campagne pubblicitarie usando comitati d’azione come “Restore Our Future”.
In questa nobile gara che avviene per interposti miliardari, il terzo classificato è Rick Perry grazie ai petrolieri texani che lo appoggiano. Il bello è che questa esondazione di denaro avviene usando temi populisti che sembrano presi in prestito da Occupy Wall Street. Gli spot pagati dagli amici di Romney hanno accusato Gingrich di avere incassato 1,5 milioni come «lobbista per difendere gli interessi di Freddie Mac», l’infame società legata ai mutui subprime. In quanto a Perry, a sua volta accusa Romney di essere «uno a cui non bastano mai i fogli rosa, cioè le lettere di licenziamento da spedire ai suoi dipendenti». In totale i Super-Pac hanno già speso 18 milioni in campagne pubblicitarie alla tv, contando solo le prime due primarie, su cinquanta… Ma nessuno accenna a disarmare. Anzi prevale l’ipocrisia, i candidati fanno finta di non controllare i messaggi dei loro “amici”. Vedi Gingrich: «Se Adelson vuole controbilanciare i miliardari di Romney sono fatti suoi, io non ho obiezioni». Per il politologo Larry Sabato della University of Virginia l’effetto è disastroso: «Il denaro finanzia il lato oscuro della campagna. L’aspetto peggiore è la mancanza di trasparenza: i cittadini non sanno chi c’è dietro queste pubblicità , quali interessi si nascondono dentro i Super-Pac. E il rischio è che alla fine chi vincerà le elezioni dovrà restituire i favori, i finanziatori dei Super-Pac passeranno all’incasso».
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