Il pastrocchio dei referendari

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La Corte costituzionale ha pubblicato le motivazioni con cui il 12 gennaio scorso ha bocciato la proposta dei referendum contro il «porcellum». Una sentenza snella, 25 pagine, centrata su due ragioni piuttosto semplici: 1) la mancanza di una legge «operante e auto-applicabile, in ogni momento, nella sua interezza» in caso di approvazione del primo quesito (abrogazione totale della legge Calderoli e «riviviscenza» del «mattarellum» in vigore dal 1993); «contraddittorio» e privo di «chiarezza» invece il secondo referendum, che abrogava gli articoli della legge uno per uno. In breve: quei referendum, singoli o in coppia, erano un pastrocchio inapplicabile. Chi li aveva proposti voleva fare due operazioni in un una: abolire il porcellum e reintrodurre il maggioritario. E non si può fare. «Le leggi elettorali – afferma la Corte – rientrano nella categoria delle leggi (…) costituzionalmente necessarie, l’esistenza e la vigenza delle quali sono indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità  degli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale della Repubblica». Pertanto, «l’ammissibilità  di un referendum su norme contenute in una legge elettorale è assoggettata alla duplice condizione che i quesiti che dovrebbero essere sottoposti agli elettori siano omogenei e riconducibili a una matrice razionalmente unitaria, e che risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur nell’eventualità  di inerzia legislativa, la costante operatività  dell’organo». In secondo luogo, «i quesiti referendari in materia elettorale non possono avere ad oggetto una legge elettorale nella sua interezza, ma devono necessariamente riguardare parti di essa, la cui ablazione lasci in vigore una normativa complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo e debbono perciò essere necessariamente parziali e mirati ad espungere dal corpo della legislazione elettorale solo alcune disposizioni, tra loro collegate e non indispensabili per la perdurante operatività  dell’intero sistema». Nel ’93, infatti, il referendum che abolì il proporzionale introducendo il maggioritario cancellò solo la legge elettorale del senato, non anche quella della camera (tra l’altro l’autore di quella riforma, Sergio Mattarella, è attualmente giudice costituzionale). 
Le motivazioni della Corte però erano molto attese dalla politica soprattutto per capire fin dove i giudici si sarebbero spinti in merito all’attuale legge «porcata». Anche qui, le speranze dei referendari sono andate in parte deluse. Leggendo le motivazioni, la Consulta non può entrare nel giudizio di costituzionalità  di una legge esaminando altro, cioè i quesiti referendari. I giudici però hanno segnalato, ancora una volta, le tante criticità  della legge elettorale del 2005. Una sorta di mappa per eventuali ritocchi che il parlamento potrebbe affrontare: l’attribuzione dei premi di maggioranza senza la previsione di alcuna soglia minima di voti o seggi; l’esclusione dei voti degli elettori della Valle d’Aosta e della circoscrizione Estero nel computo della maggioranza ai fini del conseguimento del premio; il meccanismo delle cosiddette «liste bloccate»; la difformità  dei criteri di assegnazione dei premi di maggioranza tra camera e senato (nazionale a Montecitorio, regionale a Palazzo Madama); la possibilità  di presentarsi come candidato in tutte o più di una circoscrizione. Anche questi vizi, «politici» più che costituzionali, erano noti da tempo. E purtroppo l’orribile «porcellum» è duro a morire. E’ già  sopravvissuto al referendum del 2009 e nonostante quasi tutti i partiti (tranne Berlusconi) ne denuncino a gran voce l’orrore, sta lì immutato ormai da otto anni. 
L’unica forza politica a raccogliere almeno lo spirito referendario e l’appello di Napolitano è il Pd. I capigruppo parlamentari, Franceschini e Finocchiaro, hanno scritto ai presidenti di camera e senato Fini e Schifani chiedendo di mettere quanto prima all’ordine del giorno la discussione sulle riforme. A cominciare da quella elettorale. L’Idv è d’accordo. 
Ma subito, dal Pdl (in crollo nei sondaggi) replicano che la modifica/abrogazione del «porcellum» è solo l’ultimo punto all’ordine del giorno: prima ci sono le riforme costituzionali e le modifiche ai regolamenti parlamentari. Vuoi vedere che il «porcellum» si salva anche stavolta?


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