Il no degli ungheresi alle leggi di Orban: «Rischio dittatura»
BRUXELLES — La «piazza» di Budapest, Hillary Clinton, il Parlamento europeo e, forse, la Commissione di Bruxelles. Cresce l’opposizione (e l’aperta ostilità ) verso il governo di Viktor Orban. Il premier, 48 anni, si è appena tolto l’abito di gala con cui lunedì primo gennaio ha festeggiato al Teatro dell’Opera, in compagnia di ministri e dirigenti del suo partito populista, il Fidesz, l’entrata in vigore della nuova Costituzione. Fuori almeno 70 mila cittadini ungheresi hanno fischiato, scandito slogan, sollevato cartelli con scritte tipo «Hey Europa, scusa per il nostro primo ministro».
La svolta autoritaria dell’Ungheria diventa ora un dato di fatto. La nuova Carta, accompagnata da una serie di leggi, cambia radicalmente il corso di questo Paese. A cominciare dal nome: non più «Repubblica di Ungheria», ma solo «Ungheria», con espliciti riferimenti alla retorica di una «grandeur» nazionalistica che sembrava archiviata con l’adesione all’Unione europea (2004). A Budapest si è formata una coalizione tra i partiti di opposizione (spazzati via nelle elezioni del 2010) e organizzazioni come Hungarian Solidarity Movement. Protestano contro i provvedimenti che puntano ad azzerare giornali e televisioni non gradite, a trasformare la Banca centrale in un docile passacarte al servizio dell’esecutivo. Marciano contro la legge elettorale studiata per favorire in modo smaccato il partito al potere, «L’Alleanza dei giovani democratici», (Fidesz) fondato nel 1988 da Orban, all’epoca oppositore del regime comunista.
Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha già richiamato il premier ungherese. Ma ora i «settantamila di Budapest» si aspettano un passo dall’Europa. Ieri un portavoce della Commissione ha fatto sapere che «i servizi giuridici di Bruxelles» stanno «valutando con attenzione i testi legali». Se sarà riscontrata una «violazione della legislazione europea», verrà aperta una «procedura di infrazione». Ci vorranno giorni. La vera offensiva contro «la deriva autoritaria» di Orban potrebbe partire, invece, dal Parlamento europeo. «Il caso verrà sollevato il 16 gennaio, nel corso della seduta plenaria» annuncia al Corriere l’austriaco Hannes Swoboda, del gruppo Socialisti e democratici. E’ una dichiarazione di peso, perché Swoboda, 65 anni, dovrebbe diventare proprio in quei giorni il capogruppo di Socialisti e democratici, subentrando a Martin Schulz, prossimo presidente dell’Europarlamento.
«Stiamo lavorando con i liberaldemocratici e i verdi. Chiederemo alla Commissione di impugnare davanti alla Corte europea la Costituzione e le leggi del governo Orban, poiché sono in chiaro contrasto con i Trattati europei. Poi vedremo come reagirà Budapest. Noi siamo determinati ad andare fino in fondo, attivando, se sarà il caso, la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato di Lisbona che toglie il diritto di voto ai governi che non rispettano i principi fondamentali».
Finora Orban ha potuto contare sulla copertura, o comunque sul silenzio, del Partito popolare europeo, di cui è uno dei vice presidenti.
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