Il «capitale umano»: perché il nostro Paese è agli ultimi posti

by Editore | 8 Gennaio 2012 8:28

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«Il 54% della popolazione ha un titolo di diploma nel nostro Paese, contro una media Ocse del 73%. È troppo poco. Dobbiamo studiare di più. Se l’Italia cresce meno di altri Paesi europei dobbiamo migliorare il nostro capitale umano». Parole di Mario Monti a Reggio Emilia, durante la festa del Tricolore. Le cifre dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, sono chiarissime. Solo il 54% degli italiani tra i 25 e i 64 anni ha ottenuto un diploma di scuola media secondaria. La media Ocse è del 73%: ma siamo lontanissimi non solo dall’85% della Germania, dall’88% del Canada, dall’89% degli Stati Uniti ma anche dal 91% della Repubblica Ceca, dall’89% dell’Estonia, dall’88% della Polonia. Nelle nuove generazioni, fascia 25-34, noi italiani siamo ancorati a un non esaltante 70%.
Commenta il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo: «Scontiamo un pregresso di bassa scolarità  nella fascia alta della popolazione. Tra i 19-25 approdiamo finalmente all’81% di diplomati. Un primo intervento deve riguardare l’orientamento, per cercare di limitare al massimo la dispersione scolastica. Bisogna fornire nuove modalità  per orientare le scelte, optando per percorsi coerenti con le aspettative ma anche con le caratteristiche personali. E sarà  necessario informare i giovani sulle ricadute occupazionali delle loro scelte». Poi Profumo pensa a «un tutoraggio nelle fasi transitorie dei cambiamenti di livello di istruzione, medie-superiori e superiori-università . Questi passaggi avvengono nell’età  critica dell’adolescenza, quando i percorsi personali sono meno chiari. Quindi un tutoraggio attento, rivolto non solo ai contenuti della didattica ma soprattutto alla necessità  di insegnare ai giovani metodi, organizzazione del lavoro di studio e, insieme, un ascolto delle problematiche legate alla loro crescita». 
Profumo progetta «un intervento deciso nelle aree di difficoltà  che non si trovano soltanto al Sud, ma anche nelle grandi aree urbane». Il ministro sottolinea che «qui si concentra maggiormente l’abbandono scolastico che si sovrappone maggiormente proprio con le aree di maggiore povertà . Sarà  necessaria una maggiore integrazione tra scuola dell’obbligo e superiore che potrebbe essere in molti casi di tipo professionale, verticalizzando in un solo plesso più gradi di istruzione (per dare riferimenti certi e continuità  a ragazzi che non li hanno in casa e nella società ) e fornendo agli studenti delle professionalità  specifiche. Così si potrà  dare continuità  formativa e un mestiere (il cuoco, l’idraulico, il falegname, l’elettricista, l’elettrauto)». 
Scuola e formazione. Un binomio che Claudio Gentili, direttore Education di Confindustria, studia da anni: «La carenza di capitale umano di cui giustamente parla il presidente Monti ha motivazioni storiche. Per questo non basta dire che ci sono pochi diplomati. Bisogna parlare anche di “quali” diplomati. Nel 1993 l’industria italiana, ogni 100 assunzioni, richiedeva solo 11 tecnici, in Germania erano 17. Oggi ne chiede ben 22. Eppure vent’anni fa su 100 ragazzi solo 20 sceglievano un liceo e 45 un’istruzione tecnica, oggi siamo con 42 al liceo e solo 33 a un istituto tecnico. E così ci ritroviamo con una gran mole di disoccupati in un’area di “genericismo indeciso” dell’istruzione e con industrie che non trovano tecnici. Urge un migliore orientamento migliorando ovviamente la qualità  dell’istruzione anche tecnica».
Attilio Oliva, presidente di TreeLLLe-per una società  dell’apprendimento continuo (che da anni si occupa di miglioramento della qualità  dell’education) invita a osservare il problema da un’altra prospettiva: «Le cifre sulle nuove generazioni dovrebbero spingerci a un moderato ottimismo. Ma sarebbe un errore. Lo scarto con gli altri Paesi in termini di capitale umano misurato con i titoli di studio diventa più spaventoso se calcoliamo che il 20-25% dei ragazzi esce dalla scuola senza alcun titolo di studio mentre la media europea è del 10-15% con l’obiettivo di ridurlo all’11% secondo la strategia di Lisbona. Una catastrofe. Si prova sgomento pensando che nel 2020, secondo le proiezioni del Cedefop, il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, in Italia il 37% delle forze di lavoro avrà  un basso livello di qualificazione, contro il 20% dell’Europa. Avrà  livelli alti di qualificazione solo il 18% della forza di lavoro italiana, contro il 32% dell’Europa». 
Un’Italia condannata a diventare un fanalino di coda? Oliva vorrebbe cavarsela con una battuta: «Difficile rimanere troppo a lungo ricchi e ignoranti… Ricordo che nell’era laburista in Gran Bretagna si diceva: the more you learn, the more you earn, più sai e più guadagni». Proposte per una soluzione? «I ragazzi e le famiglie dovrebbero responsabilizzarsi, analizzare le prospettive e comportarsi di conseguenza. In quanto ai governanti, dirò questo. Abbiamo una scuola antichissima che ha strutture, programmi e metodi identici ai tempi in cui l’istruzione riguardava il 20% della popolazione. Per esempio l’uso del computer e l’approccio verso le nuove tecnologie è ridottissimo. E i dipendenti di quel settore, più di un milione, sono governati senza alcuna tecnica del personale ma in modo egualitario e burocratico senza selezione, formazione, prospettiva di carriera, incentivi. Di conseguenza la qualità  dell’insegnamento è troppo modesta, ed eccone i risultati».
Dice Tullio De Mauro, linguista, ex ministro dell’Istruzione: «Sono lietamente sorpreso che un capo del governo italiano analizzi questo aspetto del nostro sviluppo. Come uscire dalla crisi? Investendo nella qualità  degli insegnanti e nella stessa edilizia scolastica. Ma vorrei aggiungere un dato che proprio l’Ocse ci contesta da anni: la completa mancanza di educazione per gli adulti. Quando si esce dalla scuola fatalmente si regredisce. Il risultato è che il 71% degli italiani adulti non è in grado di leggere correntemente un documento, un giornale, meno che mai un libro. Monti, che conosce l’Europa dove certe cose funzionano, lo sa. Basterebbe un piccolo investimento per tenere aperte le scuole nel pomeriggio e organizzare corsi di varie discipline per “rieducare” quegli adulti ancora attivi ma condannati a una progressiva, inesorabile marginalità  culturale e sociale».
Parla anche Andrea Caradini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, da sempre fautore della meritocrazia e animatore sul Corriere della Sera di polemiche sul basso livello dell’istruzione in Italia: «Monti ha tutte le ragioni e finalmente questo governo apre un capitolo nuovo che da tempo andava affrontato. L’Italia non ha mai avuto un vero progetto culturale. Quindi: qual è il ruolo della conoscenza nel nostro futuro sviluppo economico? E quale contributo può dare la produzione culturale alla crescita del Paese?»

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