Il governo spinge per il contratto unico

by Editore | 23 Gennaio 2012 7:38

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ROMA – Contratto unico, salario minimo, flessibilità  e articolo 18, riorganizzazione degli ammortizzatori sociali, riduzione del cuneo fiscale, apprendistato. E’ intorno a questi temi, ma non solo, che si avvia oggi alle 10 a Palazzo Chigi il tavolo per la riforma del lavoro, che vedrà  a confronto per diverse settimane quattro ministri (Fornero, Grilli, Passera, Profumo) il premier Monti (oggi a Bruxelles per la riunione dell’Eurogruppo: lo sostituisce il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Catricalà ), quattro rappresentanti dei sindacati confederali (Camusso per la Cgil, Bonanni della Cisl, Angeletti della Uil e Centrella dell’Ugl), e altrettanti delle associazioni imprenditoriali (Marcegaglia per Confindustria, Venturi per Rete Imprese Italia, Mussari per l’Abi e Minucci per l’Ania). 
A unire tutti gli interlocutori la certezza che il Paese ha il dovere di «dare risposte urgenti ai 6-7 milioni di disoccupati, inattivi e sottoccupati», come ribadisce il ministro per lo Sviluppo economico Passera. Su quali possano essere queste risposte, le strade si dividono. E non solo tra i protagonisti della trattativa, ma anche tra i partiti. Monti ieri ha ribadito che bisogna discutere «senza tabù», riferendosi in particolare all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il Pdl ne vorrebbe l’abrogazione, e così Confindustria, ma il responsabile economico del Pd Stefano Fassina taglia corto: «Si vuole eliminare l’articolo 18 per indebolire il potere negoziale dei lavoratori e favorire la svalutazione del lavoro per recuperare competitività ». E Nichi Vendola (Sel) si fa sfuggire una battuta: «Si deve parlare senza tabù? Benissimo. Allora discutiamo anche della nostra proposta di estendere l’articolo 18 a tutti i dipendenti delle piccole imprese».
La riforma dovrà  favorire i giovani, anche su questo c’è accordo. Ma molti giovani vorrebbero dire la loro direttamente, a cominciare dal comitato “Il nostro tempo è adesso”, che rivendica «un contratto stabile, un reddito minimo di inserimento, formazione e autonomia abitativa». Tutto quello che serve per smettere di essere «precari a tempo indeterminato»

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