IL CORAGGIO CHE NON C’È

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Per ora, dunque, la discussione riguarda essenzialmente il cosiddetto contratto unico o «prevalente» (che dovrebbe sostituire la pletora di contratti atipici) e gli ammortizzatori sociali. 
Precarietà  e scarse tutele contro la disoccupazione sono problemi molto seri, che creano crescente disagio sociale. Su entrambi i fronti le soluzioni non possono che essere di tipo «difensivo»: ciò che serve è infatti maggiore protezione. L’agenda delle riforme non può però esaurirsi con questo tipo di misure. Occorrono anche provvedimenti di tipo «espansivo», capaci di stimolare l’occupazione. 
In Italia mancano i posti di lavoro. Non è solo colpa della crisi, il problema ha radici strutturali. I nostri tassi di occupazione sono fra i più bassi d’Europa: rispetto alla Gran Bretagna (che ha la stessa popolazione dell’Italia) abbiamo quasi sette milioni di occupati in meno, soprattutto donne. La via maestra per creare lavoro è ovviamente la crescita. Ma attenzione: la struttura del mercato occupazionale è a sua volta un fattore di crescita. Se ci sono troppe strozzature, i posti di lavoro non arrivano neppure quando l’economia si espande. Le riforme possibili sono tante, ma la più promettente è una drastica semplificazione delle norme. Agli imprenditori stranieri il diritto del lavoro italiano appare come un indecifrabile mosaico bizantino, privo di certezze interpretative e applicative. Il risultato è che abbiamo pochissimi investimenti esteri e così rinunciamo a centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.
C’è poi la riforma dei servizi per l’impiego. Mancano programmi efficienti di reinserimento e riqualificazione dei disoccupati, soprattutto i più anziani. Chi è in cerca di lavoro è abbandonato a se stesso, mentre ai beneficiari di sussidi non viene chiesta alcuna contropartita. Scuola e università  non parlano con le imprese, che a loro volta non sanno valorizzare le competenze di diplomati e laureati. Abbiamo un enorme deficit di occupazione nel terziario: se non incentiviamo l’economia dei servizi è impensabile raggiungere i livelli d’impiego di Francia o Gran Bretagna. 
Le parti sociali possono far molto, anche sul piano bilaterale. Ma sulle questioni decisive occorre l’iniziativa del governo. Ciò vale soprattutto per la semplificazione. La proposta Ichino sul nuovo Codice del lavoro costituisce un’ottima base da cui partire. La questione della flessibilità  in uscita potrebbe anche essere accantonata e affrontata, per il momento, con sperimentazioni volontarie. 
Sul mercato del lavoro dal governo Monti ci aspettiamo non un compromesso al ribasso, ma un progetto ambizioso che combini l’obiettivo dell’equità  protettiva con quello dell’efficienza regolativa e organizzativa. E ci auguriamo che, al momento buono, sinistra e sindacati sappiano mostrare disponibilità  e lungimiranza: non solo sul primo, ma anche sul secondo obiettivo.


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