Il caso sembra chiuso ma offre argomenti ai critici dei «tecnici»

by Editore | 11 Gennaio 2012 8:19

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Indurrebbe a pensare che fra il Parlamento messo in mora dal governo tecnico di Mario Monti e gli uomini del premier esiste una distanza minore di quanto si pensi. Il parlamentare del Pdl per il quale la magistratura chiede l’arresto per contiguità  con la camorra, e l’alto burocrate dimessosi ieri perché si faceva pagare i conti d’albergo da un industriale oggi inquisito, sarebbero due varianti di uno stesso malcostume.
Eppure, la differenza non da poco è che Monti ha accettato subito le dimissioni di Malinconico. Cosentino resiste, protetto dal partito. Ma le vicende finiscono per fotografare e quasi simboleggiare il rapporto non facile tra la strana compagine montiana e la sua inedita maggioranza. È significativo che il capogruppo berlusconiano alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ipotizzi conseguenze per il governo, se domani la Camera dovesse deliberare a favore dell’arresto di Cosentino; e questo mentre Silvio Berlusconi cerca ancora di convincere la Lega a non votare «sì». La miscela di collaborazione e insofferenza che i partiti tendono a offrire è destinata a durare. E gli avvertimenti a non allargare la sua sfera di influenza appaiono mosse preventive.
È come se delimitassero il campo per legittimare un eventuale smarcamento dalla coalizione dei tecnici. Per capire se accadrà , però, sarà  necessario vedere come andrà  a finire oggi e cosa succederà  il 30 gennaio: due date forse decisive, a livello interno ed europeo. Oggi si riunisce la Corte costituzionale per decidere sull’ammissibilità  o meno dei referendum elettorali. E la previsione è che, in caso di «sì», la fine della legislatura potrebbe subire un’accelerazione. Anche perché, soprattutto a sinistra, l’appoggio o meno al movimento referendario mette in competizione Idv e Pd. Antonio Di Pietro ha già  dichiarato che spera in una Consulta impermeabile alle pressioni di chi, in nome della stabilità , spera di scongiurare i referendum. E ieri Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, si è affrettato a dire che «un “no” non ci farebbe piacere».
Il 30 gennaio, invece, ci sarà  l’incontro del Consiglio europeo a Bruxelles, che dovrà  fare i conti con la crisi finanziaria e l’aggressione speculativa contro i Paesi dell’area della moneta unica. Saranno gli esiti di summit come questo che permetteranno di capire se il futuro del governo continuerà  ad essere tormentato, o perfino a rischio; oppure se Monti avrà  tempo e possibilità  concreta di tirare fuori l’Italia dall’incertezza, grazie ad un’intesa di tutta l’Europa. Ma nel frattempo dovrà  ottenere la disponibilità  del Parlamento. La sensazione è che si troverà  a fronteggiare partiti decisi a non concedergli carta bianca come sul cosiddetto «decreto salva Italia» del dicembre scorso.
Il colloquio di fine settimana col segretario del Pdl, Angelino Alfano, si preannuncia come un cordiale altolà  berlusconiano alle liberalizzazioni: o almeno per alcune di quelle che palazzo Chigi sta studiando. E l’insistenza sullo stesso punto del Pd, ma a posizioni invertite, dà  corpo ad un gioco di veti incrociati. Monti li potrà  superare soltanto preparando una serie di misure destinate a scontentare in maniera più o meno equilibrata centrodestra e centrosinistra. Non è da escludersi che ci riesca. Fra l’altro, gli impegni ripetuti a combattere l’evasione fiscale potrebbero modificare l’atteggiamento ostile dell’Idv. E oggi Monti vede il cancelliere tedesco, Angela Merkel.

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