IL 2011, ANNO NERO DEL LIBRO LA GRANDE FUGA DEI SETTECENTOMILA

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Settecentomila lettori in fuga. Più che una statistica, il bollettino di una disfatta, il quadro di una sconfitta culturale, la certificazione di un’emorragia documentata dall’Istat per la lettura. Come se tutti gli abitanti di una città  grande come Palermo – anzi, qualcosa di più – dichiarassero di non aver aperto libro negli ultimi dodici mesi. Una diserzione che – già  grave in un paese di non leggenti – diventa ancora più significativa se riferita alla fascia dei “lettori forti”. Più della metà  dei disertori – nell’anno 2011 – proviene dalle file alte, dai piani superiori della lettura, dall’élite ristretta su cui si regge la piramide rovesciata dell’industria editoriale italiana. Se il nostro è un colosso con i piedi d’argilla – proprio perché pochissimi i lettori – le sue fondamenta rischiano di farsi ancora più friabili.
Requiem per l’eroica classe dei “forti”? A dire il vero, per aspirare a questo club molto esclusivo, non ci vuole granché, appena più di dodici libri letti all’anno. È Giovanni Peresson, responsabile dell’Ufficio Studi dell’Associazione degli Editori, ad analizzare sul nuovo numero del Giornale della Libreria l’inatteso arretramento. «È la prima volta, negli ultimi quattro anni, che registriamo una flessione. Se il trend era positivo, con un “picco” nel 2010, in un anno abbiamo perso 723.000 lettori». I più ottimisti potrebbero concentrarsi sul “picco” del 2010: anomalo fu quell’imprevisto innalzamento, non certo la voragine di oggi. Ma a voler essere realisti, conviene proseguire nell’analisi, che ci dice un’altra cosa. Che la lettura, lungi dall’essere una pratica radicata e dunque “necessaria”, si è andata sempre più caratterizzando nei decenni scorsi come un fenomeno di consumo. Se c’è il bestseller – l’anno del “picco” ne fu particolarmente ricco – tutto va bene. Se gli editori s’appannano – il 2011 è stato avaro di trovate fulminanti – il lettore dorme. «Chi oggi legge un libro o entra in una libreria», rileva Paresson, «non è detto che domani continui a farlo. Molto dipende dall’offerta: titoli, prezzi, distribuzione, nuovi autori. Il lettore deve essere riconquistato ogni volta da chi i libri li fa, e da chi li vende». In altre parole, nonostante la crescita dell’ultimo decennio, il tessuto della lettura in Italia è rimasto “fragile” e “strutturalmente debole”. 
Ma questo non dovrebbe riguardare la fascia di chi ha maggiore dimestichezza con la lettura, più libero – si suppone – dalle strategie di marketing o dalle classifiche dei bestseller. Tuttavia il 61,8 per cento dei lettori fuggiaschi è fatto da persone che negli anni passati leggevano più di un libro al mese. «È un andamento difficile da interpretare», dice Paresson, «tanto più che i lettori forti sono quelli a più alto reddito e titolo di studio. Difficile immaginare che abbiamo abbandonato la lettura di punto in bianco. Certo possono esserci stati slittamenti progressivi verso fasce di lettura meno intensa, ma non l’abbandono». E allora le ipotesi possono essere diverse. Non si può escludere lo spostamento dell’asse di attenzione verso consumi diversi dal libro, «fonti di informazione sulla situazione politica e sociale italiana e internazionale». L’ultimo anno vissuto pericolosamente può aver spinto i lettori di libri verso la compulsazione ansiogena di altre fonti scritte. Così come può aver inciso la scarsa presenza sui banchi delle librerie di un vasto assortimento del catalogo. Chi entra in un punto vendita di una catena libraria, prima di arrivare al titolo pregiato – se è fortunato – deve scavalcare inutili piramidi di carta innalzate dai moloch editoriali ai danni delle case editrici piccole e medie, meno rappresentate in libreria ma molto appetite dal lettore esigente.
E c’è anche ultima ipotesi, che però implica grande fiducia nell’Italia che legge (e contemporaneamente grande scetticismo sulla sua capacità  di comprensione). «Viene da osservare», sostiene Peresson, «la curiosa vicinanza tra i 400mila e-reader che si dicono presenti sul mercato italiano e i settecentomila lettori in meno che riscontriamo dai dati Istat. La stessa Nielsen stimava in 550-600.000 i lettori di e-book nel trimestre ottobre-dicembre 2010. Tanto più che i lettori forti – in Italia come altrove – sono la parte di popolazione in cui si concentra la diffusione iniziale di e-reader e del fenomeno e-book». Ma questa ipotesi implicherebbe che alla domanda dell’Istat – «Ha letto almeno un libro non scolastico nei 12 mesi precedenti?» – settecentomila persone abbiano risposto: «No, perché ho letto solo e-book». A questo punto la questione si fa ancora più preoccupante: non si sono persi lettori, ma la duttilità  mentale di chi risponde. O forse è inadeguata la domanda dell’Istat, che non tiene conto dei cambiamenti nella lettura. «Oggi è diventato più difficile identificare il lettore», dice Peresson. «E l’Istat, pur disponendo di una macchina di rilevazione statistica straordinaria, non ha aggiornato le sue categorie concettuali. Così da alcuni anni è rimasto identico l’impianto di una inchiesta molto bella e utile sulle nuove tecnologie in famiglia. E ancora manca la domanda sull’e-book». 
Aggiornando l’Istat, c’è la possibilità  di recuperare i settecentomila lettori perduti? Il problema rimane aperto, fino alle prossime rilevazioni sulla lettura. Dei libri di carta e di quelli elettronici, nessuno escluso.


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