Icann lancia la nuova internet Domini aperti e multi-codice

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CI VORRA’ del tempo prima di comprenderne gli effetti, ma internet sta per intraprendere uno dei cambiamenti più significativi della sua storia. Ce ne accorgeremo quando vedremo indirizzi Web terminare con caratteri a noi sconosciuti, ma pane quotidiano per popolazioni che, giorno dopo giorno, fanno un uso sempre maggiore della Rete. Dal 12 gennaio, infatti, la Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann), l’organizzazione non profit nata con il compito di assicurare la sicurezza, lo sviluppo e la stabilità  di internet, inizierà  ad accettare le richieste per una nuova classe potenzialmente infinita di nomi di dominio di primo livello (i cosiddetti TLD, “top-level domain”). Potranno nascere, dunque, suffissi Web di ogni tipo a patto che si sia disposti a pagare 145.000 euro e si riesca a superare la fitta rete di controlli ideata da Icann per scongiurare il rischio di frodi e “occupazioni” virtuali.

Sullo sfondo di questo piano  –  il cui iter va avanti da ben sei anni  –  c’è il malumore di diverse aziende e organismi internazionali. Non solo: a storcere il naso è soprattutto il Congresso americano, il quale non vede di buon occhio l’internazionalizzazione che è alla base del nuovo sistema. Una delle novità  più grandi, infatti, mette in crisi l’egemonia occidentale (e statunitense in particolare) anche dal punto di vista linguistico, ammettendo la possibilità  di nomi composti da caratteri non latini. Chi l’ha detto, d’altronde, che gli alfabeti cinese, cirillico e arabo non debbano avere diritto di cittadinanza a fine URL? Ecco dunque nel dettaglio in cosa consiste il nuovo piano e quali conseguenze potrebbe avere sul volto sempre più multietnico di internet.

A ognuno il suo dominio. Ad oggi nel cyberspazio esistono solo sedici possibili indirizzi alla destra del punto (come .com e .net) che non si riferiscono a Paesi o territori (come .uk o il nostro .it). Negli ultimi anni Icann ha lavorato per aggiungere a questa categoria nuovi domini, cercando allo stesso tempo di proteggere i marchi e i consumatori. Da giovedì prossimo e fino al 12 aprile, aziende, governi e comunità  di tutto il mondo potranno presentare domanda per introdurre e gestire un nome di dominio a propria scelta. Poi toccherà  alla stessa Icann, in collaborazione con l’Interpol, il compito di verificare l’attendibilità  dei singoli applicanti e scovare eventuali richieste indebite. Al momento è impossibile prevedere il numero delle domande che verranno archiviate nel corso di questi tre mesi: alcuni parlano di centinaia, altri di migliaia.

Internet che cambia. Il CEO di Icann, Rod Beckstrom, ha confermato il calcio d’inizio durante una conferenza stampa che si è tenuta a Washington DC, nel centro nevralgico dove lobbisti di ogni bandiera hanno passato gli ultimi mesi a cercare di fargli cambiare idea. “Questa settimana si apre una nuova era per il sistema dei nomi di dominio, una pietra miliare nella storia di internet”, ha detto Beckstrom. “Internet, come sappiamo, è stato sviluppato inizialmente negli Stati Uniti. Era americano al 100%, ora sta diventando 100% globale. Il nuovo piano facilita questa transizione, che è un bene per il mondo e per l’umanità “.

Non solo alfabeto latino. Il ragionamento di Icann, organizzazione composta da una galassia di soggetti diversi, è che ormai nel mondo metà  degli utenti di internet  –  circa un miliardo  –  si trova in Asia. Di questi, quasi 500 milioni sono in Cina. “È un paradosso che oggi su internet non ci sia un singolo dominio generico di primo livello scritto in caratteri cinesi o arabi”, ha detto Beckstrom. “Grazie al nuovo programma, per la prima volta organizzazioni di Pechino, di Nuova Delhi o del Qatar potranno fare domanda per nomi di dominio nei propri alfabeti. Gli utenti di queste aree geografiche vogliono l’accesso a queste risorse, si rendono conto che è un loro diritto e non è giusto aspettare oltre”.

Le critiche. L’aspetto multiculturale, però, non è bastato a convincere il Congresso americano e le tante aziende e organizzazioni che si sono schierate contro il piano. Un primo problema riguarda la proprietà  intellettuale e la protezione dei marchi di fabbrica. Il fenomeno incriminato, noto come cybersquatting, si verifica ogni qualvolta un soggetto si impossessa indebitamente del nome di dominio di un marchio altrui a scopi criminali e/o di lucro. Uno dei rischi, dunque, è che le aziende inizino a investire in maniera difensiva per proteggere i loro brand comprando suffissi Web che non avrebbero mai avuto intenzione di utilizzare – un po’ come sta accadendo con il famigerato dominio porno .xxx, per ora andato a ruba più tra le università  e le aziende in forma preventiva che tra le varie anime del porno. Preoccupazioni a riguardo sono state espresse anche dalle Nazioni Unite e da altri organismi internazionali (tra cui il Fondo Monetario Internazionale) che insieme hanno scritto una lettera all’Icann chiedendole di preservare indirizzi come .un o .imf.

Il braccio di ferro con il Congresso Usa. Né sono apparse più morbide le posizioni del Parlamento americano, che con il senatore democratico Jay Rockefeller ha chiesto a Icann di “limitare drasticamente” il numero dei nuovi domini, mentre il presidente della Federal Trade Commission, Joe Leibowitz, è arrivato a definire il provvedimento come un “potenziale disastro” e una “porta d’accesso alle frodi online”. Secondo il Wall Street Journal, il braccio di ferro rende l’idea di come il peso del Web sia cambiato nel corso dell’ultimo decennio. L’organizzazione, infatti, fu fondata nel 1998 per sollevare il governo statunitense dalla responsabilità  di accollarsi da solo “la stabilità  operativa del Web”. Da allora i suoi processi decisionali sono sempre avvenuti in modo forse caotico, ma di  fatto pluralista: tra i gruppi d’interesse che gli orbitano attorno ci sono governi, ma anche aziende, enti di registrazione, aziende, esperti di sicurezza e altre non profit, in un multiverso così vasto da rendere impossibile la dominanza di un soggetto sull’altro.

Il nuovo volto di internet. Da tempo, quindi, Washington ha perso quel ruolo di leadership che a volte ancora vorrebbe avere. “Icann è un’organizzazione internazionale”, ha ricordato il CEO. “Ha sede in America ma rappresenta interessi globali. C’è una tensione con chi vorrebbe che fosse un organismo statunitense, ma non lo è”. In tutto ciò la sicurezza resta un tema cruciale (per capirlo basta dare un’occhiata alla Applicant Guidebook http://newgtlds.icann.org/en/applicants/agb 1), su cui però è necessario “lavorare tutti insieme, e quindi anche con Paesi come la Siria, la Corea del Nord, l’Iran”. Difficile fare previsioni su come sarà  internet tra 5-10 anni. “Di certo  –  ha azzardato Beckstrom  –  somiglierà  meno a un singolo Paese e più al mondo così com’è. Sarà  più ubiquo, ci saranno più nomi, dispositivi, diversità . Ci sarà  spazio per lingue diverse, meno latino e più cinese, arabo, cirillico. Qualcuno si potrà  chiedere perché stiamo facendo questo. La domanda è un’altra: come avremmo potuto aspettare ancora?”.


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