I cent’anni del partito di Mandela dalla lotta all’apartheid alla corruzione

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Al tocco di mezzanotte, il movimento di liberazione più longevo d’Africa ha compiuto cent’anni e il brindisi si è tenuto tra i banchi di una chiesa metodista del ghetto nero di Bloemfontein, “città  dei fiori” in afrikaner, o Mangaung, “dove abitano i ghepardi” in sesotho. L’African National Congress per qualche ora non penserà  a un partito in profonda crisi. 
La poesia della liberazione si è scontrata con la prosa del governare e la colla non ha retto un granché. «Avevamo un progetto: sconfiggere l’apartheid – ha detto Moeletsi Mbeki, economista e fratello di Thambo Mbeki, presidente sudafricano dopo Mandela – Tutti erano concordi su quello». Ma invece alla vittoria contro la segregazione è subentrata la corruzione, il nepotismo, i favori sotto banco, il crimine e l’Aids. E in politica estera, un Sudafrica grande potenza regionale non ha saputo nemmeno aprire le porte al Dalai Lama per una visita a Desmond Tutu che compiva 80 anni. Non poteva dire no alla Cina.
Non era così che lo pensavano l’8 gennaio 1912 insegnanti e re, impiegati e gente comune, vestiti nelle fogge più incredibili, da quello azzimato e a quello con un completo di leopardo, che si incontrarono lì. Tra loro c’era anche Sol Plaatje, primo scrittore nero sudafricano. Pixley Seme, presidente, esordì dicendo: «Il popolo bianco ha formato una nazione dove noi non abbiamo voce. Noi creeremo una nostra nazione unita e affermeremo i nostri diritti, e i nostri privilegi». Servì a poco. Anno dopo anno entrarono in vigore durissime leggi contro i neri. Pixley Seme girò il mondo per perorare una causa giusta, ma fu sconfitto. Troppi gli interessi in ballo per gli inglesi famelici e gli afrikaner di fronte a un nero così educato. E dopo poco anche all’interno dell’Anc cominciarono le faide. 
Nelson Mandela, Oliver Tambo e Walter Sisulu rivoluzionarono ogni cosa alla fine degli Anni ’40. Cominciarono con il stracciare il passi per andare dai ghetti neri alla città  bianca: la disubbidienza civile fu il “la”. L’Anc ritrovò grinta e per tutti gli Anni ’50 cominciò la lunga battaglia contro gli afrikaner, ora al potere. In una piazza non lontano da Johannesburg donne e uomini di ogni colore si diedero appuntamento, nel 1955, per stilare una Carta della Libertà , la Freedom Charter: «Noi popolo del Sudafrica, dichiariamo, perché l’intera nazione e il mondo sappiano: che il Sudafrica appartiene a tutti coloro che ci vivono, bianchi e neri, e che nessun governo può a giusto titolo vantare alcuna autorità  se questa non si basa sulla volontà  di tutto il popolo». Poche righe, un manifesto, una dichiarazione di principi universali. Però, nel ’64, con Mandela in carcere, il movimento fu spazzato via, ed è solo con le rivolte di Soweto del ’76 che riprese quota, prima come Coscienza Nera, poi Udf, e infine di nuovo come Anc. La vetta fu toccata con la vittoria elettorale di Mandela del 1994. 
I fili della storia si intersecano ad alcune date in modo indissolubile: la seconda guerra boera tra inglesi e afrikaner cominciò e finì in quel 1902 e causò 25 mila morti, donne e bambini boeri innanzitutto chiusi nei campi di concentramento; in quel 1902 fu fondata l’Anc e iniziò il cammino in nome dell’apartheid per il Partito nazionale boero al potere alla 1948 al ’94. L’Anc celebra le origini anche per una sorta di scaramantico scongiuro: cercare un nuovo capo per il paese dell’Arcobaleno.


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