I BRICS A DAVOS

by Editore | 29 Gennaio 2012 12:57

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Così dicevano gli antichi greci. Secondo loro, uno dei modi che usano gli dei per condurre alla rovina un individuo è colmarlo di successi, potere, prosperità  e fama. Il successo induce in queste persone una smisurata fiducia nei propri mezzi, che inevitabilmente li spinge a commettere errori, fino al disastro. I greci la chiamavano hybris, cioè superbia, tracotanza, senso di onnipotenza. Secoli dopo, sono comparsi i Brics.

È stato Jim O’Neill, della Goldman Sachs, a coniare il termine Bric, formato dalle iniziali di Brasile, Russia, Indiae Cina. Poi ci aggiunse il Sudafrica e i Bric diventarono Brics. Sono Paesi poveri, enormi per superficie e popolazione e con un’influenza economica e politica in rapida ascesa.

Molti analisti stimano che nel giro di alcuni decenni le economie dei Brics potrebbero superare quelle di alcuni dei Paesi più avanzati del mondo. E non ci sono solo i cinque Brics: il successo economico sta sorridendo a tanti altri Paesi poveri. Secondo la Hsbc, se proseguirà  la tendenza attuale nel 2050 figureranno tra le prime 100 economie del mondo, oltre ai Brics e ai leader tradizionali (Stati Uniti, Germania o Giappone), Paesi come le Filippine (la 16ª economia mondiale!), il Perù, il Bangladesh e la Colombia. Il presupposto, naturalmente, è che «prosegua la tendenza attuale». Edè qui che vale la pena fare un accenno al Forum economico mondiale, che raduna ogni anno a Davos imprenditori di grido, capi di Stato, scienziati, giornalisti, attivisti sociali, artisti e così via. Tutti gli incontri di Davos a cui ho assistito mi hanno convinto fermamente che la hybrisè una realtà . E non so se siano gli dei o la natura umana, ma so che successo e fallimento fin troppo spesso vanno a braccetto tra loro.

Uno dei ricevimenti più memorabili a Davos fu quello offerto a metà  degli anni 90 dal Governo messicano: l’anfitrione e protagonista assoluto era il presidente messicano dell’epoca, Carlos Salinas de Gortari. Poco dopo il Paese – e il suo presidente – passarono guai seri. Vidi anche Kenneth Lay, leader di un’importante impresa, spiegare di fronte a un pubblico che pendeva dalle sue labbra perché il suo modello di business – che nel 2000 aveva generato più di 100 miliardi di dollari di profitti – rappresentava il futuro. L’impresa in questione era la Enron e se Lay non fosse morto oggi sicuramente sarebbe in galera in compagnia di parecchi suoi colleghi. Ero presente quando Carlos Menem descriveva l’Argentina prima della débà¢cle, ho ascoltato i racconti trionfali di gente che investiva somme ingiustificabili nella prima ondata di imprese puntocom, che non realizzavano né introiti né profitti.

L’acclamata fusione della «vecchia» e colossale Time Warner con la «nuova» Aol fu un esempio paradigmatico in questo senso. I risultati furono catastrofici. Altra stella folgorante che compariva spesso a Davos era quella del francese Jean-Marie Messier, che cercò di trasformare un’impresa che si occupava di acqua e raccolta di rifiuti, la Compagnie Générale des Eaux, in un colosso dei media, la Vivendi Universal. Messier intitolò la sua autobiografia J6M. com, dove quel J più 6 M stava per JeanMarie Messier moi-màªme maà­tre du monde, cioè «Jean-Marie Messier io in persona padrone del mondo». Nel 2002 lo vidi alla riunione del Forum economico mondiale a New York intento a presentare uno sfarzoso spettacolo multimediale sulla sua azienda. Pochi mesi dopo la Vivendi annunciò un passivo di proporzioni mai viste nella storia francese, e Messier fu spedito a casa. A Davos non si è più visto.

Ho assistito anche ai discorsi dei ministri dell’Economia di Thailandia, Indonesia, Malaysia o Corea del Sud, prima che la crisi economica asiatica li cancellasse dalla lista degli oratori più ricercati. E potrei citare molti altri esempi.

Con questo non voglio dire che tutti quelli che partecipano a queste riunioni siano personaggi a cui il successo ha dato alla testa.

Da Nelson Mandela a Elie Wiesel, dai timidi ricercatori che lavorano alle frontiere della conoscenza studiando il cancro, il cervello o la genetica, agli attivisti che mettono a rischio la propria vita per combattere despoti o proteggere innocenti: a Davos è facile incontrare persone degne di ammirazione e immuni all’arroganza. Maè facile anche imbattersi in personaggi chiaramente posseduti dalla hybris.

Che cosa c’entra tutto questo con i Brics e con i Paesi poveri ormai diventati di moda? Non è difficile immaginarlo. Recentemente, conversando con leader turchi, brasiliani, russi o cinesi, ho intravisto molti dei sintomi tipici di quelle stelle decadute che oggi non brillano più nei cieli di Davos. Che cosa stanno tramando gli dei per dare una lezione agli arroganti? Dobbiamo prepararci a un crack nei Paesi emergenti? (Traduzione di Fabio Galimberti)

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