Haiti, le baracche della musica “Il rap ci salverà “

Loading

PORT AU PRINCE  – Sono adolescenti, stanno al computer e guardano video musicali, dalle casse dei pc rimbombano forte i bassi dei ritmi techno-dance. La “diferans”, come è scritto sul muro dell’Internet point, in creolo, tra questi ragazzi e quelli europei, sta in quel che li circonda. Intorno all’edificio in muratura a un piano, pulito e ben attrezzato, c’è la baraccopoli più estesa di Port au Prince, Citée Soleil, un inferno dove vivono oltre trecentomila persone in ricoveri di fortuna, costruiti con pezzi di tendoni, lamiere e qualunque rifiuto possa essere tenuto insieme da un pezzo di corda o un chiodo arrugginito. Per uscire dal vortice di ignoranza, povertà , abbrutimento, i giovani della capitale di uno dei Paesi più poveri al mondo contano sulla musica. Era un cantante il loro attuale presidente, Michel Martelly, è uno dei pochissimi haitiani di successo Wyclef Jean, che ha duettato con Bono e Shakira e ha tentato la carriera politica. 
Ad Haiti, come nella tradizione degli schiavi delle piantagioni, c’è una canzone per tutto. Si canta e balla davanti al palazzo del Parlamento durante la manifestazione per protestare contro i ritardi nella ricostruzione dopo il terremoto che a gennaio di due anni fa ha devastato il Paese, c’è l’orchestra al funerale dei morti di colera, c’è una musica rap che sembra uscire dal nulla in mezzo alle quattro case vicino a Kenscoff e che rimbomba dai finestrini dei pick-up con alla guida i capi delle gang. Tutti vogliono fare musica, perché la musica non è soltanto una delle poche medicine disponibili contro i dolori cronici di un Paese disperato, è la strada verso l’ascesa sociale. 
Adriene Jeff ha 16 anni e vive a Citée Soleil, in una di queste costruzioni che chiamare “baracche” è già  un eufemismo, ma da quando c’è l’Internet point ha più fiducia di poter realizzare il suo sogno: fare musica con il computer, diventare un dj, svoltare. Ha scaricato sul pc del centro il programma “Visual dj” e ci passa davanti due ore al giorno, pagando 30 centesimi, la cifra con cui da queste parti si possono comprare un po’ d’acqua e un pacchetto di biscotti. «Nessuno aveva pensato a Internet – dice Adriene – ma a me ha cambiato la vita. Prima dovevo fare due ore di cammino per arrivare in un cybercafè, adesso ce l’ho vicino e posso venirci ogni giorno, studio il programma, ho già  fatto dei pezzi e adesso un amico mi ha promesso che li farà  sentire a uno che è nel giro, mi farà  fare delle serate». A pensarci è stata la Fondazione Francesca Rava – NPH Italia Onlus. «L’Internet point fa parte del progetto più ampio di Fors Lakay, “la forza della famiglia” – spiega la presidente, Maria Vittoria Rava – con il quale abbiamo costruito 40 casette, una panetteria mobile, e l’ospedale St Mary con 80 posti letto. Il lavoro è stato fatto in stretto contatto con la comunità , sono stati i ragazzi di Citée Soleil a chiederci le postazioni Internet, a manifestare la loro voglia di essere in contatto con il mondo per superare l’isolamento in cui li ha costretti la povertà ». 
A tenere i contatti con i ragazzi è soprattutto padre Rick Frechette, un sacerdote americano che da oltre 20 anni è ad Haiti con l’associazione “Nuestros Pequeà±os Hermanos”, di cui la Fondazione Rava è il braccio italiano. Con lui andiamo a vedere le nuove case che spiccano nella desolazione di Citée Soleil, nella piccola folla che si avvicina per salutarlo ci sono due ragazzi vestiti meglio della media, magliette di foggia americana, dreadlocks in stile rasta, occhiali da sole a specchio e catene vistose al collo. Vedono la telecamera di una troupe tv e insistono per far sentire il loro rap, chiedono contatti per fare un cd. «Siamo meglio di Martelly!», esclama con il ritmo sincopato proprio del rap uno dei due e quando gli chiediamo cosa pensano del presidente non sfiorano neanche il discorso politico: «Lui fa musica vecchia (il presidente, alias “Sweet Mickey” cantava una simil-salsa melodica, ndr) noi facciamo roba forte, che piace agli americani». Ci scortano fino alle baracche, senza mai mollare del tutto la litania del cd. Chiede contatti per farsi conoscere anche Ester, 20 anni, che la Fondazione Rava ha portato a Milano a cantare in duomo durante un concerto per l’associazione tenuto da Andrea Bocelli. Ester, una dei tanti orfani che padre Rick ha coinvolto nel lavoro dell’associazione, aiuta il sacerdote nel compito più penoso, quello di dare sepoltura ai morti abbandonati ogni settimana nell’ospedale generale di Port au Prince da chi non ha neanche i soldi per un funerale. Ester ha voce potente ma sguardo mesto, che si illumina soltanto quando improvvisa una seconda voce mentre un gruppo invitato per l’inaugurazione di un progetto di ristorante solidale della Fondazione si infiamma in un vodoo-rock. «Nella mia testa canto sempre – dice Ester – soprattutto quando voglio immaginare una vita diversa».


Related Articles

Il volto oscuro di un Paese in affanno Bustarelle per il medico e record di suicidi

Loading

Theodoros Giannaros, direttore di ospedale: mi vergogno di essere europeo

Carceri: censura e tanatopolitica per l’“umanità a perdere”?

Loading

Da quando è cominciata la cosiddetta emergenza Covid-19 e ancor di più da quando s’è avuta la famosa rivolta in diverse carceri il silenzio sulla realtà carceraria sembra diventato legge che nessun media infrange

Torturavano i detenuti, agenti rinviati a giudizio

Loading

Un’indagine ben condotta, con testimonianze e intercettazioni, porta alla sbarra i cinque poliziotti accusati di maltrattamenti. Ma ora incombe la beffa della prescrizione ASTI Va a processo la «squadretta di pestatori»
Le denunce di due reclusi hanno rotto il silenzio. Altri secondini hanno parlato

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment