by Editore | 26 Gennaio 2012 9:19
«Da salvatore della patria che ero fino a 24 mesi or sono, adesso sembra non vi sia tragedia che non sia imputabile alla mia persona. Sono un capro espiatorio, un po’ come il comandante Schettino per la catastrofe della nave Concordia». A parte il paragone improprio e pericoloso, Guido Bertolaso evoca l’ipotesi di un complotto ai suoi danni rispondendo al giornalista Antonello Piroso che lo ha intervistato domenica sera nel programma «Ma anche no», su La7. Ma chi starebbe tramando contro l’«uomo della Provvidenza che tutto il mondo ci invidia», come lo definì Berlusconi? E soprattutto perché? Lo spiega egli stesso: «Siccome io sarò ascoltato come testimone all’Aquila l’8 febbraio – continua Bertolaso – allora magari sulla base di questa richiesta che Rifondazione comunista ha formulato (si riferisce ad una delle due denunce presentate subito dopo la diffusione dell’ormai famosa telefonata con Daniela Stati, allora assessore Pdl della Regione Abruzzo alla Protezione civile, ndr) arriverò all’Aquila come indagato per omicidio colposo. Benissimo, qualcuno pensa che la cosa mi faccia paura? Io ho grande stima della Commissione grandi rischi e credo che i miei collaboratori De Bernardinis e Dolce abbiano fatto più del loro dovere». La registrazione dell’intervista è stata acquisita ieri dalla procura della Repubblica dell’Aquila, come integrazione probatoria, nella dodicesima udienza del processo a carico di sette membri della Commissione Grandi rischi, accusati di aver fornito false rassicurazioni alla popolazione aquilana subito dopo la riunione del 30 marzo 2009, pochi giorni prima del sisma che causò la morte di 309 persone.
Il pm Fabio Picuti ha anche notificato alle parti coinvolte la trascrizione della telefonata che l’ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio fece a Daniela Stati, la sera prima di quella riunione, per avvertirla che avrebbe inviato all’Aquila «i luminari del terremoto d’ Italia» per un’«operazione mediatica», «in modo che loro che sono i massimi esperti diranno che è una situazione normale, che è meglio che ci siano cento scosse di 4 gradi scala Richter piuttosto che il silenzio, perché così si libera energia e non ci sarà mai la scossa che fa male». È sulla base di questa telefonata che Bertolaso è indagato per omicidio colposo in un filone d’inchiesta difficile da saldare a quello già in fase processuale che ha portato alla sbarra i membri della Grandi Rischi. Ma con la mossa di ieri, la procura aquilana ha di fatto accelerato i tempi verso un accorpamento dei due fascicoli. L’8 febbraio, dunque, Bertolaso sarà ascoltato dal giudice Marco Billi ma non più come semplice testimone. Sarà assistito dal suo legale Filippo Dinacci, che già difende il suo braccio destro De Bernardinis e il direttore dell’ufficio sismico del Dipartimento Mauro Dolce, e potrà avvalersi della facoltà di non rispondere. Solo in questo caso però potrà sottrarsi alle domande dei legali di parte civile, alcuni dei quali lo avevano già indicato come testimone proprio per chiedergli conto dei motivi che lo avevano indotto a convocare quella riunione, dopo settimane di sciame sismico che terrorizzava la popolazione.
Prevedibile purtroppo la difesa di Bertolaso, una linea già adottata dall’avvocato Dinacci per i membri della Protezione civile imputati nel processo: «Io non sono laureato in sismologia – ha spiegato l’ex salvatore della patria su La7 – sono gli scienziati, che non sono certo miei dipendenti, a dire che gli sciami sismici liberano energia. Io lo ripeto da dieci anni, perché così mi dicevano loro. E nessuno mi ha mai corretto».
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