Giro di Pitalia insieme a Rigoletto

by Editore | 5 Gennaio 2012 8:33

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Frammenti di libretti d’opera dal ‘600 al ‘900 si intrecciano alle gesta del primo ministro di uno sventurato paeseFin da ragazzo Francesco Muzzioli (fin dalla tesi, nel 1971, sulla Poesia Sperimentale Italiana) studia (nel senso etimologico del latino studére, amare) le scritture delle avanguardie e della neoavanguardia, e più in generale le scritture eccentriche, che si situano fuori dal centro, stravaganti, che extra vagano, uscendo dai sentieri battuti. Scritture esplorative non solo, non primariamente, del reale, ma piuttosto delle strutture stesse che le governano. Scritture disobbedienti, antigraziose, talora persino sgradevoli. Ma scritture che muovono in esplorazione di spazi e modi altri. Viene in mente Oulipo, e il suo corrispondente italiano Oplepo, gli opifici di letterature potenziali, le scritture su contrainte. Scritture ovviamente anticonvenzionali e quasi sempre accese anche da uno spirito ludico: ma di un gioco la cui sostanza è disobbedienza. E non a caso la produzione poetica di Muzzioli è strutturalmente sperimentale, attraversa la lingua ma insieme se ne fa largamente attraversare. 
Un piccolo esempio illuminante: «rima a metro viene dietro / seguo il suono non ragiono / venga il senso che non penso / batto il tempo e passo il tempo / io mi alieno a ciel sereno …». Ma questo è un gioco serio, in cui entra una precisa Weltanschauung, in cui la disobbedienza non è episodio, ma consapevole pratica politica, in «una ipotesi di scrittura materialistica», in una serrata critica dell’esistente. 
Perché l’avanguardia, dice Muzzioli, è aliena, proviene da altri altrovi, ed è l’unica possibilità  rimasta di esplorare il territorio letterario della contemporaneità : territorio ad essa sconosciuto – ad essa ostile – in cui si trova paracadutata. L’avanguardia contraddice il senso, nega il bello, rischia continuamente la non comprensibilità , sperpera l’estetica. Solo da questa non comoda posizione si possono decostruire i feticci che abitano le nostre menti, si può giungere a una reale critica dell’immaginario collettivo corrotto dalla letteratura dominante. Non a caso Muzzioli ha studiato Derrida e Benjamin, e, tra gli scrittori, dei grandi alieni da Gadda a Malerba, da Pasolini a Cacciatore, a Volponi.
In Scritture della catastrofe, (Meltemi 2006) Muzzioli ha affrontato temi come la letteratura fantastica, l’allegoria, la distopia. Dice: «la distopia (…) è percorsa in qualche modo da un brivido ironico, e non solo nei casi di evidente parodia. (…) Solo l’umorismo (…) è capace di decostruire la catastrofe e quindi di rappresentarla dialetticamente». Proprio questa visione decostruente del parodico offre una chiave di lettura del recente Il corto, la scorta, le escort (Le impronte degli uccelli, pp. 31, euro 10), così come del precedente Alla corte del corto). 
In questi piccoli libri, che a prima vista possono apparire virtuosistici divertissements letterari, anche un po’ passatisti, l’andamento astrattamente, gelidamente parodico rimanda in modo diretto a quell’umorismo in grado di decostruire la catastrofe. I frammenti dei libretti d’opera italiani dalla fine del Sei all’inizio del Novecento vengono intrecciati con ironica destrezza alla storia in doppi senari delle nequizie del primo ministro della sventurata Pitalia. Del cui arcoreo palazzo così la scorta canta, prendendo a prestito dal Rigoletto: «Tutto è gioia, tutto è festa; / tutto invitaci a goder! / Oh guardate, non par questa / or la reggia del piacer!». Una sprezzante ironia abita il poemetto, comprese le illustrazioni dell’autore, che, ancora, traggono spunto da un repertorio ottocentesco straniandone segno e senso. Déplacement, spiazzamento, fino in fondo: sotto le apparenze, invece, di un ossequio alla più retorica delle tradizioni. L’autore, dietro le quinte, ridacchia sardonico.
Mi piace, infine, citare la risposta di Muzzioli all’intervistatore Armando Adolgiso che gli chiede un autoritratto:«Che guaio: di fronte al ritratto mi viene voglia di ritrarmi. Tuttavia posso dire: che a quest’altezza (siamo sull’Enterprise di Star Trek, ndr) mi dimentico la bassezza; che nell’oscurità  dello spazio impallidisce il mio color bruno; che essendo svanito alla vista non sto a dirvi della vista svanita… Per quel che riguarda, poi, la mia attività  dirò che sono Ricercatore e tuttavia non ho niente da perdere». 
Si esibisce e si nasconde, Muzzioli. E si esibisce, come si è visto, giocando in modo sfrenato con la lingua, quella lingua italiana la cui letteratura così intimamente conosce. Ma sorge un dubbio: non sarà  invece la lingua che gioca sfrenatamente con lui?

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