Gianfranco Baruchello, il bricolage ironico
Non tutti gli «assemblage» hanno un tocco felice – forse, a volte, l’horror vacui ha vinto la sua battaglia predisponendo il progetto di Maria Vittoria Clarelli ad accogliere troppe opere, non tutte così necessarie – ma nell’insieme il percorso offerto al visitatore gode di una leggerezza ariosa che prima era impensabile. E, in alcuni casi, come avviene nel salone centrale dove – dopo l’«introduzione» spaesante (e specchiante) di Alfredo Pirri, si giunge alla sezione intitolata Scusi ma è arte questa? – la proposta ha un suo appeal disinvolto, in compagnia dell’«orinatoio» di Duchamp, dell’action painting di Vedova, dei sacchi emaciati di Burri, dei tagli di Fontana, degli Achrome di Manzoni.
Se il pubblico precedentemente aveva problemi di orientamento spaziale – come rilevato da un test nel 2005 – adesso il filo concettuale da inseguire permette salti cronologici molto individuali, regalando una interattività maggiore e un coinvolgimento in prima persona.
Fra le mostre inaugurate in occasione del restyling – oltre a quella dedicata alla fotografia in Italia dal 1850 al 2000 – c’è anche quella, molto bella, incentrata sulla produzione di Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924). Visitabile fino al 4 marzo, a cura di Achille Bonito Oliva, la monografica attraversa le diverse fasi creative dell’artista, a partire dagli anni Cinquanta. Circa cento le opere esposte e, sala dopo sala, un moltiplicarsi di territori da esplorare. D’obbligo assumere l’atteggiamento dell’artista di fronte alla realtà : la sospensione di giudizio. Meglio giocare, sognare, archiviare memorie e readymade reinventando l’ordine e il disordine a proprio piacimento.
Baruchello, maestro dell’intreccio fra campi filosofici differenti («mi do licenza di contaminare», dice in linea con la sua stessa Fondazione), erede prodige di Duchamp, ha realizzato – con la medesima passione – incursioni nel cinema sperimentale (con Alberto Grifi, nel 1964, acquistò 150mila metri di pellicola cinematografica, scarti e tagli di film americani degli anni Cinquanta e Sessanta, che poi rimontarono), nella zootecnia, nell’agricoltura (Agricola Cornelia era una società costituita «con lo scopo sociale di coltivare la terra» riscoprendo antichi miti e tradizioni e attraverso un métissage con l’arte), così come nella architettura-bricolage che propone nei suoi modellini. Negli ultimi decenni, è stato il giardino il protagonista delle sue riflessioni libere.
In fondo, Baruchello negli anni è sempre rimasto fedele al titolo di un suo lavoro, Pensare con le mani. Ha costruito narrazioni, mondi, frammenti, esercizi semplicemente partendo da quell’imbastitura «fisica» che mai ha rinnegato.
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