Ghizzoni: “Non potevamo più aspettare ma così la banca diventa più solida”

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MILANO – La situazione è a dire poco delicata. Dopo tre sedute dall’annuncio del prezzo dell’aumento di capitale Unicredit si trova ad aver già  bruciato 4,5 miliardi di capitalizzazione e a dover fronteggiare un flusso di vendite difficile da arrestare. Domani, il diritto comincerà  a trattare separatamente dall’azione e lì si vedrà  se la pressione in vendita verrà  controbilanciata dagli acquisti. Al quartier generale della banca ovviamente hanno vissuto tre giorni intensi, a inseguire gli investitori per capire i motivi di tanto accanimento. Ma pur in un contesto difficile il management ostenta sicurezza: «Certo non ci aspettavamo di finire in mezzo alla bufera dell’Ungheria o all’ipotesi di accantonamenti di 50 miliardi per le banche spagnole – spiega l’ad Federico Ghizzoni – ma siamo convinti di aver fatto la scelta giusta perché entrano 7,5 miliardi che ci porteranno nel gruppo di testa delle banche europee per livello di Core Tier 1». 
La scelta di Ghizzoni&C., in effetti è stata coraggiosa: nessuna vendita di asset e aumento di capitale pari al 60 per cento della capitalizzazione in un mercato da paura dove gli investitori esteri non vogliono più i titoli di stato, figuriamoci le azioni delle banche. E le regole degli aumenti di grande ampiezza con diritti di opzione, gli esperti di finanza le conoscono bene. Il classico arbitraggio “vendi titolo e compra diritto” diventa difficile da fare anche solo perché i diritti messi sul mercato sono due volte il numero delle azioni in circolazione. Se poi si aggiungono le restrizioni sulle vendite allo scoperto, come ha imposto la Consob, allora il prezzo fa fatica ad adeguarsi e la pressione si concentra tutta nei tre giorni precedenti la partenza dell’aumento. Da domani, poi, arriverà  il flusso di coloro che vogliono vendere una parte dei diritti per finanziare il resto. «Pensiamo che quella dell’aumento sia la strada giusta per mettere la banca nelle condizioni ottimali. Con l’aumento di capitale – prosegue Ghizzoni – saremo ancora più solidi con tutti i requisiti allineati non solo ai livelli richiesti oggi ma anche per il futuro. Meglio essere partiti subito e non aver aspettato i prossimi mesi quando vi potrà  essere un affollamento di offerte sul mercato». 
In realtà , come spiegano ora diversi banchieri d’affari, le maggiori banche europee cercheranno di evitare la via dell’aumento di capitale e daranno la precedenza a dismissioni, trasformazione di strumenti ibridi o, anche, diminuzione dei prestiti. In pratica, dei 115 miliardi di maggior patrimonializzazione richiesti dall’Eba solo una minima parte si effettueranno con aumenti di capitale. Al limite si faranno riservati a qualche grosso investitore, tipo fondi sovrani, come e’ successo nel 2009 per alcune grosse banche. Certo il grosso rischio, come segnala l’Abi da tempo, è che alla fine si restringa il credito per famiglie e imprese. Fatto che, però, Unicredit dovrebbe evitare. «Grazie al nuovo capitale nell’arco del triennio del piano saremo in grado di erogare 75 miliardi in più a famiglie e imprese – sottolinea Ghizzoni – diventeremo la banca che darà  così un sostegno molto importante all’economia reale e grazie alla nostra dimensione di banca europea potremo aiutare le imprese a internazionalizzarsi». 
Una banca che per molto tempo, però, rischia di valere pochissimo in Borsa, proprio per l’effetto depressivo dell’aumento, e che potrebbe perciò essere esposta ad attacchi dall’esterno anche attraverso l’asta dei diritti inoptati. Perché il consorzio di garanzia, composto da 27 banche che incassano 250 milioni di commissioni, faranno di tutto per non tenersi sui propri bilanci le azioni rimaste eventualmente invendute.


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