by Editore | 7 Gennaio 2012 6:58
Nel 1984 Michel Foucault tiene il suo ultimo corso al Collège de France, Il coraggio della verità , mentre è entrato nello stato terminale dell’Aids che lo porterà via dopo pochi mesi. La trascrizione delle lezioni fissate esce ora in traduzione italiana a cura di Mario Galzigna (per Feltrinelli). Foucault è stanco ma vuole portare a termine il compito che si era assegnato l’anno prima: svolgere una storia della parresia, il dire la verità a costo della vita, dalla sua nascita in Grecia ai suoi sviluppi nel Medio Evo (la predica e l’università ) sino ai moderni, dove il parresiaste sembra trasformarsi nella figura del rivoluzionario.
Per chi aveva legato il suo nome alla dottrina del potere-sapere, all’idea che si deve guardare con sospetto il sapere, perché è veicolo di potere, questo progetto è il segno di un’inversione di rotta. Sin dalla prima lezione Foucault precisa che interpretare le sue ricerche come “tentativo di ridurre il sapere al potere non può essere che una pura e semplice caricatura”. Eppure, proprio il drammatico intreccio tra potere e sapere era stato il nocciolo del pensiero foucaultiano, come viene ribadito in L’ordine del discorso. E come leggiamo nella sintesi della Microfisica del potere: “l’esercizio del potere crea perpetuamente sapere e viceversa il sapere porta con sé effetti di potere”.
Nella teoria del potere-sapere c’era una reincarnazione della Genealogia della morale, e si stabiliva un paradosso che sta al cuore del pensiero di Foucault così come di Nietzsche: si critica la verità non per gusto della mistificazione ma per il motivo contrario, per un amor di verità che vuole smascherare tutto, compresa la verità . Un gioco pericoloso, perché vedere nella verità un effetto di potere significa delegittimare la tradizione, che culmina con l’Illuminismo, per cui il sapere e la verità sono veicoli di emancipazione, strumenti di contropotere e di virtù. Per Nietzsche, l’esito era stato il mito, l’idea che la verità deve cedere il posto all’illusione e al dispiegarsi della potenza. Per Foucault l’esito è antitetico. Infatti, non è un caso che, accanto a questa apologia della verità come critica e come contrasto del potere, Foucault, qui, si impegni anche in una apologia dell’Illuminismo, come accade proprio in una lezione al Collège de France dell’anno prima.
Un percorso che si completa nelle ultime lezioni di Foucault, dove l’eroe terminale è proprio Socrate morente, ossia l’antieroe di Nietzsche, che ci vedeva quello che, morendo, aveva imposto la falsa equazione tra sapere, virtù e felicità . Per Foucault, invece, Socrate è il parresiaste per eccellenza. Socrate vuol dire la verità , in pubblico e a costo della vita. Il punto culminante è la lezione dedicata alla morte di Socrate, che si conclude così: “Come professore di filosofia, bisogna aver tenuto, almeno una volta nella propria vita, un corso su Socrate e sulla sua morte. L’ho fatto. Salvate animam meam”. Salvate l’anima mia. L’invocazione è ironica, come sempre in Foucault, ma il tema non lo è affatto. Perché Socrate, per Foucault, rappresenta ora la quintessenza del rischio di una verità che rende liberi e non schiavi.
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