Fanno i furbetti dell’articolo 18

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Certi pasticci eravamo abituati a vederli cucinare da un Sacconi o un Brunetta, ma risultano sorprendenti se associati all’immagine che il governo dei «professori» vorrebbe dare di se stesso. Parliamo della risibile «smentita» diramata da Palazzo Chigi mercoledì sera, quando nelle redazioni ha preso a circolare la «bozza sulle liberalizzazioni» che dovrebbe esser presentata a giorni (il 20, è stato detto) anche all’Europa.
Soltanto il Corsera l’ha presa per buona, e solo Luigi Bersani (Pd) – forse per dovere d’ufficio – si è rifiutato di commentarne il merito perché «non ragiono su bozze, se no ci sono solo discussioni virtuali che creano solo agitazione». Per tutta la giornata di ieri, invece, il governo ha compattamente taciuto, mentre in tanti si confrontavano sulla pioggia di misure anticipate nella bozza. E quindi deve essere «vera», anche se ovviamente «provvisoria».
La prima cosa che vien da dire è che non si capisce come possa un governo «tecnico» e «serio» buttar lì due articoletti furbetti che solo il peggior Pdl fin qui era riuscito a pensare. Parliamo dell’«eliminazione dell’obbligo di applicare i contratti collettivi di settore nel trasporto ferroviario» e, ovviamente, della non applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori nelle piccole imprese che «si fondono» senza però raggiungere i 50 dipendenti.
A una lettura più attenta, la norma «ferroviaria» risulta decisamente deprimente. In pratica, «corregge» il famigerato art. 8 della «manovra d’agosto», quello che permette di stipulare accordi aziendali in deroga ai contratti nazionali e persino alle leggi vigenti. In quell’autentico «buco nero» per il diritto del lavoro in Italia veniva fatta un’eccezione: quelle «deroghe» non potevano essere ammesse nelle ferrovie. «Perché?», si erano chiesti anche i ferrovieri. E l’unica risposta plausibile era: in quel momento sembrava che Montezemolo stesse per «scendere in politica», ma aveva anche pronta – insieme a Della Valle – la Ntv (prima compagnia ferroviaria italiana, da tempo in attesa di partire); per cui aveva «strappato» un accordo aziendale che garantiva un costo del lavoro inferiore del 40% a quello che gli stessi sindacati stavano discutendo per il «contratto nazionale della mobilità », ovvero con Fs. Quell’eccezione dunque era un doppio schiaffo: uno a Montezemolo, l’altro a Cgil, Cisl e Uil.
Contro quell’eccezione si scagliò con inusuale durezza l’allora commissario antitrust Antonio Catricalà , ora sottosgretario alla presidenza del consiglio. Al punto da scrivere che «l’imposizione per legge di presunte maggiori tutele del lavoro ostacola la concorrenza» e riduce l’occupazione. Ora, dunque, i «tecnici» hanno ripristinato «parità  concorrenziale» tra Fs e Ntv. Ovviamente al ribasso, sia per i lavoratori che – incredibilmente – per «l’osservanza della normativa regolamentare». Attendiamo di vedere un «competitivo» sorpasso in curva tra treni Tav, in spirito Ferrari…
Sull’art. 18, invece, la levata di scudi è stata generale. Al punto che anche Raffaele Bonanni – segretario generale Cisl – ha dovuto obiettare «non si capisce proprio che c’entra la modifica dell’art. 18 con le liberalizzazioni». Ma c’è una cultura «liberale» che considera la libera associazione tra i lavoratori come una «corporazione» di cui disfarsi. È il senso delle parole di Sergio Cofferati, ex sgretario della Cgil e ora parlamentare europeo «dissidente» del Pd che riscontra «un vero accanimento ideologico contro l’art. 18». Anche Stefano Fassina, responsabile economico del Pd pretende che le «norme sul lavoro» – compresa dunque la «reintegra» per licenziamento privo di giusta causa – siano tenute fuori dal pacchetto sulle liberalizzazioni» e lasciato alla «contrattazione tra le parti sociali».
Che sono state in genere un po’ più drastiche. La Cgil si è fatta sentire attraverso un «twit» di Fulvio Fammoni. Mentre l’Usb, tramite Fabrizio Tomaselli, parla di «attacco corrosivo» e «sotterfugio» per poi «attaccare le condizioni di lavoro». Ma qui c’è anche una risposta di mobilitazione: lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base per il 27 gennaio, con manifetazione nazionale a Roma.
Durissimo Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. «Il sindacato deve chiedere l’immediato ritiro del provvedimento; se non è così, viene messa in discussione la trattativa sul mercato del lavoro. È un modo truffaldino di mettere le mani sull’art. 18 di chi non vuole affrontare i problemi veri: la precarietà , l’estensione della cassa integrazione e delle tutele, fino al reddito di cittadinanza. Soprattutto, c’è bisogno di creare lavoro; serve un piano straordinario di investimenti, pubblici e privati. Si potrebbe partire dalla defiscalizzazione della riduzione dell’orario di lavoro e della redistribuzione dell’orario e del lavoro». Se c’è crisi, come fanno anche in Germania, si può lavorare un po’ meno e tenere al lavoro più persone.


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