by Sergio Segio | 6 Gennaio 2012 9:44
Una robusta fetta del Parlamento si è unita alle critiche dei pacifisti, su internet la polemica infuria, persino il vescovo di Pavia, don Giovanni Giudici, ha invitato a lasciare «la strada di Erode». Tanto più che le temute penali sul ritiro italiano dal programma di fatto non esistono: lo aveva rivelato un’inchiesta di Altreconomia, lo ha confermato l’ex capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, sottolineando che ovviamente andrà perso quanto stanziato per le sperimentazioni iniziali. Per la tutela del Paese, dice Camporini, sarà comunque indispensabile rinnovare il parco dei jet, perché «sono sistemi d’arma ancora necessari». Poi è toccato al ministro Giampaolo Di Paola ammettere che «non esistono vacche sacre, cioè non ci sono programmi intoccabili» fra quelli della Difesa. Sembra che la Difesa sia disponibile a ripensare il numero degli F-35. Ma non sembrerebbe in discussione la scelta di quel determinato aereo, per la soddisfazione dell’americana Lockheed-Martin. Questo vuol dire anche la messa in soffitta del progetto Eurofighter, che non solo impegnava in Italia 12 mila persone, ma che rappresentava anche un primo passo nella collaborazione difensiva dell’Unione. La Lockheed dunque potrebbe averla avuta vinta, nonostante le tante voci critiche, soprattutto americane. David Venlet, responsabile del programma Joint Strike Fighter per il governo Usa, ha ammesso con la stampa che qualcosa non va nel programma, disegnato in modo da permettere a Lockheed di avviare la produzione massiccia prima ancora di aver finito i test. Un sistema che permetterebbe ai piloti di avere subito le macchine e all’azienda di massimizzare i profitti. Ma secondo i responsabili tecnici Usa «il programma F-35 continua a mostrare problemi tipici delle prime fasi di sperimentazione». Le continue richieste di ritocchi e modifiche fanno pensare che il Jsf non sarà pronto per le operazioni prima del 2018, cioè sette anni dopo il termine previsto. Insomma, il jet multiruolo che doveva assicurare la superiorità aerea, atterrare sul ponte di una nave scendendo in verticale, e tutto questo di nascosto dai radar nemici, costa enormemente ma non sembra essere ancora in grado di mantenere le promesse. In tempi di crisi, poi, restano i dubbi sulla necessità reale, nel terzo millennio, e non solo per le limitate ambizioni militari dell’Italia, di macchine supermoderne come i caccia di quinta generazione. In dicembre ha lasciato le linee di produzione della Lockheed a Marietta, in Georgia, l’ultimo esemplare di F-22 «Raptor», considerato un punto di riferimento insuperato fra i cacciabombardieri. Una specie di fratello maggiore dell’F-35, che aveva debuttato con i colori dell’Air Force nel 2005: a meno di impieghi segreti, non ha mai combattuto.
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