by Editore | 31 Gennaio 2012 7:41
Con questo Navigazione in mare calmo, a tratti leggermente mosso (Guerini e Associati, pp. 251, euro 19.50) sintetizza una storia di quarant’anni dell’industria informatica, e di Amodeo che da rappresentante di commercio diventa imprenditore e leader della principale società italiana di software, la Engineering. E tutto questo (è nato a Sambuca) anche da comunista.
La storia comincia tra il 1954 e il 1956, quando parte il miracolo economico e «le aziende erano affamate di quadri; i giovani, che si erano laureati bene avevano l’imbarazzo della scelta» e le imprese rimborsavano la spese di viaggio. Quale differenza da oggi!
Così la prima scelta del giovane Amodeo è (ovviamente) per la Olivetti. Scrive Amodeo: «per il mito di Adriano e, perché no, del maggiore stipendio iniziale». E, a questo punto, non posso non dire che la scomparsa della Olivetti è la prova più evidente e forte dell’inettitudine del nostro ceto imprenditoriale. E sempre a proposito della Olivetti sono da leggere i riferimenti a Nerio Nesi, altro personaggio della nostra passata buona stagione.
Alla Olivetti per i venditori c’era un corso di formazione, superato il quale, il nostro Amodeo inizia la sua carriera a Verona. E qui, sempre a mio parere, emerge un altro punto importante nell’industria (e direi anche nella politica): bisogna imparare a vendere. Vendere non è solo offrire la merce (o chiedere di votare per un certo partito). Vendere chiede cultura, intelligenza, sensibilità . Doti che il nostro Amodeo aveva, così da diventare imprenditore al colmo della sua carriera di venditore. Da Verona, dopo un corso di capogruppo, il nostro Amodeo viene assegnato alla importante filiale di Napoli. Quindi alla divisione elettronica, altra avanguardia della Olivetti, che però andrà male e che porterà alla Oge, una società per il 75 per cento della General Electric e per il 25 per cento della Olivetti. Era la fine della Olivetti.
Ma il percorso di Amodeo continua in progressiva ascesa: Univac e altre imprese ancora, tra cui, sembra singolare, una società italobulgara, la Sibicar, che operava in carrelli elevatori. Poi c’è lo straordinario affare per l’informatizzazione delle Camere di Commercio con la società Cerved, che è la premessa al passaggio di Amodeo al ruolo di imprenditore. Leggere questo libro è, per certi versi, come leggere un romanzo di avventura con protagonista, in continua emersione, il nostro Amodeo.
Ma Amodeo era anche comunista. Questa scelta gli crea qualche preoccupazione, ma non molla fino a quando rimane convinto della sua scelta e belle sono le pagine dove si racconta come diffusore dell’«Unità » o di iscritto alla Sezione Italia del Pci, allora in via Catanzaro, alla quale negli anni ’50 sono stato iscritto anche io. Amendola e Pajetta sono i personaggi che ha frequentato e c’è anche un curioso e interessante riferimento al comportamento di Togliatti, quando Stalin lo aveva chiamato a lasciare l’Italia per un ruolo dirigente nel Cominform.
Molti anni il venditore e imprenditore Amodeo ha trascorso nel Pci, dal quale poi si è staccato. Ma, leggendo questo libro, mi viene da dire (anche se il paragone è un po’ assurdo) che il Pci ha avuto lo stesso destino della Olivetti. Due imprese primarie, poi dissoltesi per l’ignavia di noi italiani.
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