Emergenza penitenziari, l’allarme della ministra: suicidi fallimento delle istituzioni

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Undici morti nell’ultimo anno, quattro di loro per cause ancora da accertare. Coi suoi 1039 detenuti, 932 uomini, l’istituto di pena di Sollicciano rappresenta un po’ tutte le realtà  carcerarie della Toscana nelle quali, più o meno in linea con l’andazzo generale, il 2011 si è chiuso appunto con un morto al mese, oltre che con 168 tentativi di suicidio, 849 episodi di autolesionismo e 638 scioperi della fame. Anche per questo, acquistano una certa importanza le parole del ministro della Giustizia, Paola Severino, che ieri a Firenze ha vissuto una giornata tra tagli di nastro e parole posate come pietre. Tra l’inaugurazione del nuovo palazzo di giustizia a Novoli e una visita al carcere, in un pugno di chilometri, il Guardasigilli ha scattato una polaroid che vale per tutta la realtà  penitenziaria italiana. La quale, è bene ricordarlo, a fine dello scorso novembre contava 68.047 detenuti, nei suoi 206 istituti, dei quali 24.600 stranieri. Quasi altrettanti sono quelli reclusi per reati legati alla droga, ossia alla legge Fini-Giovanardi: al 31 dicembre 2010, erano 27.294, più 16.598 detenuti tossicodipendenti. Tradotto e semplificato, ogni tre reclusi c’è uno straniero e una persona in carcere per spaccio o detenzione.
Sarà  anche per questo che il ministro Severino, all’uscita dalla sua visita, ha detto che il carcere oggi «è una tortura più di quanto non sia la detenzione che deve portare invece alla rieducazione. Il carcere è, sì, un luogo di espiazione ma che non deve perdere di vista i diritti dell’uomo. L’uomo in carcere è un uomo sofferente, che deve essere rispettato».
Col ministro, per varare la struttura di Novoli che riunisce uffici, competenze e dovrebbe semplificare molto le cose, con uno sperabile risparmio in termini di risorse e costi, il sindaco Renzi, il presidente della Corte d’Appello Fabio Massimo Drago, il procuratore generale della Repubblica, Beniamino Deidda, il presidente dell’ordine degli avvocati, Sergio Paparo, e il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. «Oggi si compie un cammino cominciato nel 1995, costellato di ostacoli, che ci ha portato a inaugurare una vera cittadella della giustizia, la seconda in Italia». A Sollicciano, il ministro ha incontrato i detenuti reclusi nella terza regione italiana, per numero di istituti presenti: 18, dietro a Sicilia (27) e Lombardia (19). La struttura alla periferia di Firenze soffre per gli stessi motivi per cui l’intero sistema carcerario è in seria difficoltà , come testimonia l’ennesimo episodio di nervi scoperti. A Bolzano, una rivolta condotta da una cinquantina di detenuti, finita poi senza gravi conseguenze, a parte una guardia e tre reclusi finiti in ospedale per accertamenti. «Abbiamo ricordato quelli che tra loro non ci sono più e che dunque hanno rappresentato il fallimento vero e definitivo dell’esperienza carceraria. Abbiamo parlato di quelli che ci sono e che continuano a combattere per avere una vita migliore nel carcere» ha ricordato il ministro, soffermandosi sugli scenari futuri: «Quello che si deve fare in una proiezione futura è mettere insieme una serie di forme alternative alla detenzione. Che rendano effettivo il principio per cui la detenzione deve essere veramente l’ultima spiaggia, da attivare quando le altre strade non si possono più
Il ministro ha poi raccontato della sofferenza nel vedere dei bambini chiusi in cella con le loro madri. «Un bambino non si può svegliare la mattina e vedere davanti a sè le sbarre di un carcere. Non si può pensare che al compimento dei tre anni venga strappato dall’ unico luogo che ha conosciuto e dalla madre, con la quale ha vissuto i primi tre anni della sua vita, e portato via. Credetemi, è una pena immensa. La soluzione non è facile. Ma le case famiglia, l’attivazione di sistemi alternativi al carcere credo che siano la soluzione praticabile».


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