Embargo totale sul petrolio l’Europa sfida gli ayatollah Teheran: “Bloccheremo Hormuz”
Lo scontro fra Occidente e Iran sale a un livello che non era mai stato raggiunto. Da ieri l’Unione europea ha deciso un embargo petrolifero totale contro Teheran, nella speranza che gli iraniani rinuncino ai loro progetti nucleari. Piani che, secondo le valutazioni dell’Aiea e le risoluzioni dell’Onu, sono contrari alle leggi internazionali. E’ una sfida strategica al potere iraniano, un attacco al cuore del sistema industriale ed economico del regime: assieme al blocco del petrolio ci sono sanzioni finanziare, il divieto di transazioni con la Banca centrale e quello di vendere oro, metalli preziosi, diamanti e materiali sensibili agli iraniani.
Una sfida durissima, a cui Teheran ha reagito con una minaccia che potrebbe essere applicata con grave danno per l’Occidente: chiudere lo stretto di Hormuz, fermare quel flusso del 20% del petrolio mondiale che esce dal Golfo Persico.
Vediamo in maggior dettaglio le sanzioni: innanzitutto il petrolio. Da oggi gli Stati europei non potranno comprare, importare o trasferire petrolio iraniano. I contratti già in essere dovranno essere esauriti entro il 1° luglio, mentre compagnie come l’italiana Eni potranno continuare a godere dei diritti di buy-back, ovvero potranno ricevere versamenti già previsti dagli accordi con l’Iran per lavori petroliferi già effettuati. L’Iran deve pagare ancora 2 miliardi di dollari alla compagnia italiana per lo sviluppo dei giacimenti South Pars e Darquain.
La decisione europea è arrivata dopo settimane e settimane di negoziati, ma soprattutto dopo anni di attesa che qualcosa si sbloccasse nella grande trattativa fra l’Iran e il “5+1”, il gruppo formato dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania. Anni che sono serviti all’Iran a rinviare una resa dei conti mentre il progetto nucleare segretamente andava avanti. Un tempo che però anche gli americani hanno utilizzato, utilizzato per rafforzare le loro sanzioni, per convincere gli europei, le loro compagnie petrolifere e le loro banche ad abbandonare progressivamente il paese degli ayatollah.
Ieri tre leader europei, Merkel, Sarkozy e Cameron, hanno lanciato un appello all’Iran che è una minaccia politica: «Chiediamo ai dirigenti iraniani di sospendere immediatamente le attività nucleari sensibili, non avete rispettato i vostri obblighi internazionali e avete esportato violenza nella regione», hanno scritto i leader di Germania, Francia e Gran Bretagna.
L’Italia sostiene con convinzione l’embargo, dopo essere stato per decenni uno dei paesi più aperti al dialogo politico con Teheran: il ministro degli Esteri Giulio Terzi ieri a Bruxelles ha detto che «ci sono indicazioni che forse potrebbe arrivare una risposta positiva all’invito a riprendere il dialogo» sul nucleare, un invito fatto con una lettera spedita dal capo della diplomazia Ue Catherine Ashton il 23 ottobre.
Per ora in verità arrivano solo i primi segnali di reazione rabbiosa: il vice-capo della Commissione Esteri del Parlamento iraniano ha detto che «se arrivano le sanzioni la chiusura dello stretto di Hormuz sarà certa». Le sanzioni «sono destinate al fallimento» dice il portavoce del ministero degli Esteri Ramin Mehmanparast, che poi fa un ragionamento che non è soltanto propaganda: «Il mondo non può fare a meno di un Iran al secondo posto nel mondo per le riserve di gas e al quarto per quelle di petrolio. E comunque, chi si priva del greggio iraniano sarà subito sostituito da altri». Il vice-ministro degli Esteri Abbas Aragchi assicura, «le minacce sono inutili, noi andremo avanti col nucleare». Solo dall’Aiea, l’agenzia Onu per il nucleare, potrebbe arrivare una speranza: da domenica una missione torna a Teheran, incontreranno i capi del progetto nucleare per capire se c’è anche un solo modo per salvare il mondo da questo scontro.
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