Embargo europeo sul petrolio iraniano
È stata una scelta unanime e senza precedenti quella adottata dai 27 ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles, una scelta motivata da «preoccupazioni gravi e crescenti» per la corsa iraniana all’arricchimento dell’uranio: e già questa sarebbe una notizia. Ma nel giro di poche ore, mentre saliva il prezzo del petrolio sui mercati internazionali e crollavano le quotazioni del rial, la moneta iraniana, ecco un’altra notizia altrettanto importante: Teheran chiuderà «sicuramente» lo stretto di Hormuz, dice uno dei leader del suo Parlamento, «se vi saranno problemi nella vendita del petrolio». Mossa che, ha già avvertito Washington, porterebbe a un intervento della marina da guerra Usa: la portaerei americana Abraham Lincoln da domenica è già nel Golfo e ieri il Tesoro Usa ha inserito anche l’ultima banca statale iraniana, la Tejarat, nell’elenco degli istituti colpiti dalle sanzioni.
La partita si gioca su molti tavoli. Teheran parla di «embargo ingiusto, incompatibile con la crisi economica dei Paesi Ue», e avverte che non cambierà linea. Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e David Cameron avvertono insieme l’Iran: «Non accetteremo mai che si doti di armi nucleari»; chiedono la «sospensione immediata» del programma nucleare e aggiungono però che «la porta è aperta se accetta di impegnarsi seriamente in negoziati». Anche la Russia, tramite il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, esprime sì «rammarico e allarme» per la decisione europea, ma poi dice: «Faremo di tutto perché i negoziati riprendano». Preoccupazioni condivise a Bruxelles: uno scontro militare dell’Occidente con l’Iran avrebbe sviluppi potenzialmente devastanti per l’economia europea, che intravede solo ora un’uscita dalla grande crisi; e anche l’embargo da solo, che comprende «importazione, acquisto e trasporto» del petrolio, non è una scelta gratuita. Ma si punta sul successo della pressione economica: Israele, per esempio, dicendosi «soddisfatta» per le sanzioni, afferma che queste «allontanano l’opzione militare». Mentre il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi precisa: «Non prevediamo un impatto importante sull’economia globale e sulle forniture globali. Per l’Italia, l’impatto è assolutamente trascurabile, vorrei dire veramente nullo».
L’Iran esporta 2,5 milioni di barili di petrolio al giorno, per il 20% in Europa. L’Italia è il primo Paese importatore nella Ue, e il quarto al mondo dopo Cina, Giappone e India. Per Roma, c’è o c’era una preoccupazione in più: l’Eni ha crediti per circa due miliardi di dollari con Teheran, per vecchie forniture mai pagate; ma trattandosi di soldi dovuti da Teheran a Roma e non viceversa, senza più fornitura di petrolio, secondo fonti diplomatiche una clausola escluderà questi pagamenti dall’embargo, tutelando così gli interessi italiani.
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