E lo stop mette in crisi la filiera “Ormai è una guerra tra poveri”

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BERGAMO – La guerra dei poveri è un bancale che non parte e un altro bancale che parte e viaggia a metà  prezzo. La guerra dei poveri è un operaio interinale a 700 euro e un padroncino che con cinque camion nel 2011 ha tirato su, di guadagno utile, 1.500 euro. Meno dello stipendio mensile di un suo autista. A Bergamo i blocchi li hanno tolti ma Giacomo Ruggeri, una piccola azienda di autotrasporti a San Pellegrino Terme, due fratelli autisti che non ha il coraggio di lasciare a casa anche se «i costi mi stanno strangolando», è più sconsolato di quarantotto ore fa. «Sa perché siamo finiti nella melma? Perché se non parte il tuo camion ne parte un altro. E sa perché? Alle aziende non gliene frega più niente della qualità  del servizio: si parla solo di costi. Io chiedo 400 per un viaggio? C’è un altro padroncino che ne chiede 350 e magari dopo un anno ha il camion da buttare via o è da buttare via lui. Ti mettono uno contro l’altro per 50 euro, e così, col poco lavoro che c’è, ci scanniamo. L’è la guera di poerecc…». 
Ruggeri fa di conto. «Nel 2011, tolto gasolio e autostrada, tolti i costi tipo ruote eccetera e le tasse e il leasing dei camion, ho messo in tasca 1.500 euro. I miei autisti ne prendono 2.200. Guido anche io, altrimenti sarei già  saltato». Bancali, acque, casse. Sui bilici Ruggeri sale di tutto. Ma in questi giorni non è salito niente. E niente è arrivato a destinazione. Nelle decine di migliaia di piccole e medie imprese bergamasche – autotrasportatori da una parte, produttori dall’altra – si è consumata una faida involontaria: uno scontro tra «diversamente sfortunati», lo chiama così Mario Caso, 24 anni, abruzzese, scaricatore a cottimo in una delle piattaforme logistiche più importanti della provincia. «Non arriva la merce, non scarico, non guadagno. Semplice. Quanto prendo? Cinque euro l’ora. Ne faccio dieci di fila. Quattro giorni di lavoro a settimana. Ottocento euro al mese. Fatti un giro al mercato ortofrutticolo…». 
Eccoci. Alle nove di mattina in un box che di solito riceve 1000 bancali ne sono arrivati appena 300. Cinque addetti, quattro «in grigio». Stanno fumando. «È una catena, si fermano i camion e ci fermiamo anche noi – si stringe nelle spalle Radiu Arbana, romeno di Cernica – . Io ho un amico padroncino: le aziende di trasporto gli subappaltano i lavori e lo pagano dopo cinque mesi. Voleva che andassi a lavorare con lui. Meglio stare qui a scaricare frutta e verdura. Ieri è arrivato facendo le strade provinciali. Per la consegna gli hanno offerto una miseria – anche se gli altri erano fermi – . Ha accettato». 
Gli ortaggi, dunque. Bergamo è la culla delle insalate in busta. Il 50% della produzione nazionale abita qui. Tricolore, Maggiolina, Mioorto, Bonduelle. Quattro marchi che vogliono dire lavoro per decine di aziende agricole. Coldiretti ha calcolato che questi marchi stanno subendo perdite per 350mila euro al giorno. A cascata, uno schiaffone per i contadini che raccolgono per loro. «Capisco gli operai e tutti gli altri che caricano e scaricano la roba che trasportiamo – ragiona Fabio Avogadro, titolare della Azzurra Trasporti e Logistica di Lallio – . E sono sicuro che loro capiscono noi. Io allo sciopero non ho aderito perché ho seguito le indicazioni della Fai. È stato un blocco inaspettato. Ma è vero che così il governo ci massacra tutti. Il prezzo lo fa il committente: se il committente decide che il viaggio vale 10, o tu stai in quel dieci o ti arrangi. Il problema è che stare dentro quei costi, con tutti i salassi, è un’acrobazia. Alla fine diventa una lotta a chi sopravvive. I padroncini vengono subappaltati da chi a sua volta riceve il servizio. Ti contendi un tozzo di pane in tre. Così, non mangia più nessuno».


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