E l’inflazione si mangia i salari

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Seguita a diminuire il potere d’acquisto delle retribuzioni. A dicembre – secondo i dati Istat – a fronte di un aumento tendenziale dei prezzi al consumo del 3,3%, le retribuzioni contrattuali sono cresciute solo dell’1,4% (le orarie) e dell’1,5%, quelle per dipendente. Si tratta dell’incremento più basso dal 1999. Insomma, l’inflazione si è mangiata in dicembre l’1,8-1,9 per cento dei salari. Per una retribuzione lorda di 2 mila euro mensili si tratta di una sforbiciata di oltre 36 euro. Intanto sempre l’Istat ha fatto sapere che a gennaio la fiducia dei consumatori è rimasta stabile a quota 91,6, come in dicembre, il valore più basso dal 1996, ovvero dall’inizio delle serie storiche confrontabili. 
Partendo dalla fiducia, l’Istat osserva che la stabilità  «capita di rado» nelle rilevazioni e, comunque, deriva da un «andamento abbastanza diverso» delle due componenti principali, quella relativa allo scenario economico, che peggiora (da 77,1 a 75,3), e la dimensione riferita alla situazione personale, familiare, degli intervistati, che, invece, migliora (da 97,3 a 97,9). Guardando alle altre variabili si deteriorano le aspettative sull’andamento generale dell’economia italiana (il saldo scende da -56 a -67) e segnano una forte crescita le aspettative di disoccupazione (da 87 a 97 il saldo delle risposte). Per l’andamento dei prezzi al consumo, il saldo dei giudizi sull’evoluzione recente aumenta da 65 a 69 e quello sull’evoluzione nei prossimi dodici mesi diminuisce da 58 a 57. Il clima di fiducia dei consumatori migliora nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno, mentre peggiora nel Nord-est e al Centro.
Tornando alle retribuzioni, la differenza tra l’aumento annuo delle retribuzioni orarie (+1,8%) e il livello d’inflazione (+2,8%) raggiunge un divario pari a 1 punto percentuale. In pratica l’inflazione si è mangiata ogni mese l’1% di un salario. E si tratta dello scarto più forte dal 1995. Guardando ai diversi settori, aumenti significativamente superiori alla media si registrano per i comparti «militari-difesa« (3,3%), forze dell’ordine« (3,1%), «gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi» (3,0%). Mentre le variazioni più contenute interessano «ministeri» e «scuola» con un aumento dello 0,2%, cioè con una perdita del potere d’acquisto di oltre il 2,5% ogni mese. 
L’Istat sottolinea anche come sia notevolmente salita la media dei mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto: a dicembre 2011 supera la soglia dei due anni (24,9 mesi) in aumento rispetto allo stesso mese del 2010 (14,5). A dicembre 2011 risultano in attesa di rinnovo 30 accordi contrattuali, di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione, relativi a 4,1 milioni di dipendenti (circa 3 milioni nel pubblico impiego). I dipendenti che aspettano il rinnovo sono quindi – sottolinea l’Istat – il 31,4% del totale. 
Complessivamente, nell’anno 2011 sono stati rinnovati 19 contratti, per 3,1 milioni di lavoratori dipendenti. Quasi tutti i rinnovi del settore privato, ricorda l’Istat, hanno durata triennale sia per la parte normativa sia per quella economica, come prevede il nuovo modello contrattuale introdotto nel gennaio 2009. Fa eccezione l’accordo per i giornalisti che si riferisce al secondo biennio economico. Nella pubblica amministrazione, gli unici due contratti siglati (vigili del fuoco: personale nei livelli e direttivi) costituiscono la conclusione del quadriennio normativo 2006-2009 e sono relativi al secondo biennio economico 2008-2009.


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